Dolore fisico femminile: perché spesso non viene preso sul serio
Gli stereotipi di genere che vogliono le donne più emotive fanno sì che vengano prese meno sul serio quando lamentano dolore fisico
Appartenere al gentil sesso ha i suoi inconvenienti. Uno studio condotto da Elizabeth Losin dell’Università di Miami testimonia la persistenza dell’assunto che vuole le donne delicate ed emotive per natura.
E quando si tratta di misurare la percezione del dolore si dà per scontato che facciano più scena rispetto agli uomini, abituati invece a sopportare il dolore con fiero stoicismo. Un pregiudizio fuorviante che può risultare in una disparità di trattamento anche quando l’intensità del dolore è identica.
Lo studio americano
Nel corso dei due esperimenti è stato chiesto ai partecipanti di osservare delle brevi clip in cui pazienti di entrambi i sessi praticavano esercizi di fisioterapia per il dolore alla spalla. Anziché reclutare degli attori, i ricercatori hanno preferito utilizzare filmati autentici corredati da schede di valutazione della percezione del dolore compilate dai pazienti stessi. Per avere un confronto oggettivo, le espressioni del volto sono state analizzate dai ricercatori attraverso il Facial Action Coding System (FACS). Ai partecipanti è poi stato chiesto di valutare il dolore del paziente in una scala da 0 a 100 e di consigliare una terapia appropriata per ogni soggetto. Il risultato? Non solo a parità di intensità il dolore femminile è stato generalmente sminuito, ma nel valutare il trattamento più efficace alle donne è stata spesso consigliata la psicoterapia.
Malate immaginarie
Non è una novità che al dolore femminile si attribuiscano cause psicosomatiche. Nel saggio Invisibili (Einaudi), la giornalista Caroline Criado Perez ne fa una questione culturale e di bias scientifici. Se in quest’ultimo studio è emerso che nella percezione comune di molti osservatori siano gli uomini quelli reticenti nell’ammettere di provare dolore, alle donne si è spesso imputato di non essere abbastanza chiare. Abituate fin da piccole a non interrompere i discorsi altrui, a minimizzare i propri meriti, a comportarsi in maniera amichevole e accessibile, potrebbero non fornire al medico gli elementi necessari per formulare una diagnosi corretta. Eppure, prosegue Criado Perez, non mancano casi in cui lamentando dolori o fastidi si sentono dire che il loro “è un problema di testa”, che devono controllare meglio l’ansia e lo stress. Finché all’ennesima corsa in ospedale non viene fuori che la colpa era di un fibroma uterino, di una colite ulcerosa, della sindrome dell’intestino irritabile, dell’anemia. Per non parlare di fibromialgia ed endometriosi, una riconosciuta come sindrome cronica e invalidante dopo anni di aperto negazionismo, la seconda diagnosticata – secondo lo stesso Ministero della Salute – “dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche”. Non perché sia così rara (colpisce il 10-15% delle donne in età riproduttiva), ma perché la sua manifestazione più evidente è proprio il dolore.
Se l’uomo è misura di tutte le cose
Paradossalmente, scrive l’oncologa Adriana Albini nella raccolta La donna non esiste curata dalla filosofa Nicla Vassallo (Codice Edizioni), se vogliamo avere gli stessi diritti alla salute ci conviene una volta tanto ribadire la differenza biologica, evitando così errori diagnostici e terapie inefficaci. In salute siamo tutti uguali, ma “ammalandosi, partorendo, andando in menopausa e sopravvivendo in una longevità selettiva e spesso patologica” allora la donna esiste eccome. Le patologie di cui soffriamo in percentuali diverse rispetto agli uomini sono tante, comprese le malattie cardiovascolari, i tumori, l’artrite reumatoide, la sclerosi multipla, l’Alzheimer. In generale le donne si ammalano di più, ma muoiono più tardi. E si curano prevalentemente con farmaci studiati sugli uomini e che su di loro potrebbero avere effetti diversi. Ragione in più per ascoltare il dolore e pretendere la giusta attenzione anche quando trattate con scetticismo.
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