Il diabete di tipo 1
L’Organizzazione mondiale della sanità definisce il diabete mellito (il termine scientifico del diabete) come “un disordine metabolico a eziologia multipla, caratterizzato da iperglicemia cronica con alterazioni del metabolismo dei carboidrati, grassi e proteine, risultanti da difetti della secrezione insulinica e dell’azione insulinica”.
Non esiste, però, solo una forma di diabete: le più frequenti sono il diabete di tipo 1 e il diabete di tipo 2.
Un problema in aumento
Il diabete è la malattia metabolica più diffusa. Secondo le statistiche ufficiali, solo in Italia sono circa tre milioni le persone con diabete (la metà di queste circa ha un’età compresa fra i 40 e i 60 anni), ma si stima che ci siano circa un milione di casi non diagnosticati. Ogni anno si ammalano di diabete circa 200.000 persone.
Stando alle previsioni dell’Oms, entro il 2025 il numero degli italiani colpiti dal diabete salirà rapidamente a circa cinque milioni, arrivando quasi a raddoppiare i numeri attuali.
Ogni anno nel mondo si diagnosticano 70.000 nuovi casi di diabete tipo 1 nella fascia d’età che va dagli 0 ai 14 anni. In Italia, questo tipo di diabete colpisce oltre 130.000 dei 3,1 milioni di individui che soffrono di diabete.
Di solito compare fra gli 8 e i 12 anni
Il diabete mellito di tipo 1, chiamato anche diabete giovanile, è meno comune rispetto al diabete di tipo 2: rappresenta, infatti, circa il 10% dei casi.
Nella stragrande maggioranza delle situazioni questa forma di diabete si manifesta prima della pubertà, fra gli 8 e i 12 anni, o comunque nei primi 30 anni di vita. Ma può esordire a qualunque età, presentandosi anche durante l’età adulta o nell’anziano. Negli ultimi anni però si sta assistendo a un aumento di diagnosi nelle fasce di età più giovani.
La Sardegna ha la più alta incidenza di diabete di tipo 1 (quasi tre volte quella del resto del Paese), paragonabile nel mondo solo a quella della Finlandia.
Questo forma di diabete può essere trattata solamente attraverso iniezioni di insulina nel sottocute, più volte al giorno, per tutta la vita. Proprio per questo motivo è detto anche diabete insulino-dipendente.
Di che cosa si tratta
Nel diabete di tipo 1 si assiste alla distruzione progressiva delle ß-cellule (cellule beta) del pancreas, le uniche cellule del nostro organismo capaci di produrre insulina.
L’organismo, di conseguenza, non è più in grado di utilizzare nel modo corretto gli zuccheri: il glucosio non riesce a raggiungere le cellule e si accumula nel sangue.
Inoltre, il corpo inizia a sfruttare come unica fonte di energia i grassi, con conseguente produzione di chetoni (o corpi chetonici) che iniziano ad accumularsi nel sangue.
La distruzione delle ß-cellule può iniziare mesi o addirittura anni prima che la malattia diventi evidente e venga diagnosticata. Questo perché nel nostro organismo le cellule beta sono in quantità ben superiore al necessario e solo quando oltre l’80% di esse viene distrutto la glicemia inizia a salire.
L’esordio della malattia può essere molto rapido in bambini e adolescenti rispetto agli adulti perché sono più sensibili alla disidratazione conseguente all’eliminazione di grandi quantità di glucosio con grandi quantità di urine.
Una malattia autoimmune
Alla base del diabete di tipo 1 c’è un comportamento anomalo del sistema immunitario, il naturale sistema di difesa dell’organismo.
Se in condizioni normali il sistema immunitario si attiva soltanto verso agenti potenzialmente dannosi per il nostro organismo, nei pazienti con diabete di tipo 1 si ha una reazione eccessiva contro componenti stessi dell’organismo (per questo si parla di autoimmunità), in questo caso specifico contro le cellule beta addette alla produzione di insulina.
Questa forma di diabete, proprio per questa sua origine, nel corso della vita può associarsi ad altre malattie autoimmuni, come la celiachia (intolleranza al glutine) o la tiroidite su base autoimmune (infiammazione della tiroide).
[new_accordion_slh_item title="Ancora sconosciute le cause"]Ancora oggi le cause del diabete giovanile sono sconosciute. Tuttavia, è molto probabile che la malattia sia il risultato dell’interazione fra una predisposizione genetica di base e dei fattori scatenanti ambientali. In pratica, il paziente con diabete di tipo 1 ha una suscettibilità genetica che lo rende più vulnerabile alla malattia. Si ammala, però, solo se nel corso della sua vita entra in contatto con determinanti fattori ambientali.
Molti di questi elementi sono ancora ignoti. Si è ipotizzato che un ruolo chiave possa essere giocato da virus (per esempio, quello responsabile della parotite, cioè dei cosiddetti “orecchioni”, o quello della rosolia) o da altri agenti di natura infettiva.
In sostanza, quando l’organismo di un individuo predisposto entra in contatto con questo “nemico”, il naturale sistema di difesa riconoscerebbe come estranee le proprie cellule beta, attaccandole. La distruzione è progressiva e può durare anche mesi o anni prima dell’insorgenza del diabete.
I campanelli di allarme
Questa forma di diabete ha, soprattutto nelle persone più giovani, un esordio acuto con sintomi molto evidenti. Ecco quali sono.
– Aumento della minzione (poliuria)
In caso di malattia, l’organismo produce più urina del solito e la persona è costretta a fare pipì con una frequenza molto superiore a quella normale.
Infatti, se il glucosio non viene utilizzato correttamente dall’organismo, aumenta la sua concentrazione nel sangue.
Quando il sangue arriva ai reni lo zucchero passa nel filtrato glomerulare (il fluido che diventerà urina), dal quale non può essere riassorbito perché presente in quantità eccessiva e quindi viene eliminato attraverso le urine, portandosi dietro per osmosi una grande quantità di acqua.
– Forte sete (polidispsia)
Quando il flusso delle urine diventa eccessivo, l’organismo può rischiare la disidratazione.
Per questo corre subito ai ripari: il cervello, captata la situazione di pericolo, innesca lo stimolo della sete, così da mantenere costante la quantità di liquidi all’interno del corpo.
Più è elevata la quantità di urina prodotta, maggiore è la frequenza con cui la persona sente lo stimolo della sete.
– Stanchezza costante
Il mancato nutrimento delle cellule causa una stanchezza perenne e significativa.
Senza energia, infatti, i “mattoni” dell’organismo non riescono a lavorare al meglio e la persona, quindi, si sente spossata.
– Dimagrimento inspiegabile
Se, a causa del cattivo funzionamento dell’insulina, l’organismo non può utilizzare il glucosio per produrre l’energia necessaria, utilizza come fonti alternative i grassi e le proteine.
È inevitabile, perciò, che la persona perda peso e dimagrisca.
– Riduzione della vista
Le alte concentrazioni di glucosio possono provocare una disidratazione anche del cristallino dell’occhio.
La conseguenza diretta è una considerevole difficoltà a mettere a fuoco le immagini con l’impressione di vedere attraverso un vetro smerigliato.
– Prurito e infezioni intime
La presenza di glucosio nelle urine può favorire la comparsa di fastidiosi problemi intimi, come pruriti e infezioni della cute o della mucosa degli organi genitali.
La ragione è semplice: gli ambienti ricchi di zuccheri costituiscono l’habitat ideale per la proliferazione dei microrganismi nocivi, responsabili proprio di infezioni e infiammazioni.
– Mai sottovalutare i sintomi
In presenza di sintomi sospetti è bene rivolgersi al più presto al medico. Il diabete di tipo 1, infatti, necessita di cure immediate che richiedono un accesso in Pronto Soccorso o in ambiente specialistico. I medici valuteranno lo stato di idratazione e lo stato di coscienza e misureranno la glicemia, i chetoni nel sangue e nelle urine, la funzione renale, il pH e il bicarbonato nel sangue per iniziare rapidamente le cure necessarie. In caso di disidratazione può essere necessario infondere liquidi per rimpiazzare quelli perduti con la poliuria.
L’unica cura è l’insulina sintetica
L’insulina è l’unico trattamento possibile per i pazienti con il diabete di tipo 1: se le cellule beta delle isole pancreatiche, distrutte dalla reazione autoimmune, non sono più in grado di produrla nelle quantità sufficienti, allora bisogna necessariamente somministrarla dall’esterno per iniezione sottocutanea.
Fortunatamente, la medicina è in grado di sopperire a questa grave mancanza, rimpiazzando, nel miglior modo possibile, la secrezione pancreatica.
In pratica, la cura consiste nel fornire alla persona con diabete di tipo 1 insulina di origine sintetica, ovvero prodotta in laboratorio, per ricreare sia la concentrazione di base dell’ormone, normalmente presente durante tutte le 24 ore, sia i picchi di insulina che si osservano ogni volta che vengono assunti degli zuccheri semplici o complessi (ai pasti o per spuntini).
Non si può assumere per bocca
L’insulina non può essere data per bocca perché verrebbe distrutta dai succhi gastrici prodotti dallo stomaco.
Per questo viene iniettata per via sottocutanea (tra la pelle e il muscolo), così che possa arrivare nel sangue, tre-quattro volte al giorno, di solito prima dei tre pasti principali, colazione, pranzo e cena (insulina prandiale) e la sera prima di coricarsi (insulina basale).
Come sede di iniezione sono indicate la parte esterna e superiore delle braccia, quella frontale e laterale delle cosce, la zona superiore delle natiche e l’addome. L’ideale è non fare la puntura sempre nello stesso punto, in modo da evitare possibili alterazioni sottocutanee dette lipodistrofie.
È anche importante non iniettare insulina nelle gambe se si sta per fare un’attività fisica intensa (per esempio corsa o camminata a passo svelto) perché il maggior afflusso di sangue ai gruppi muscolari potrebbe aumentare la velocità di assorbimento della sostanza, facendo abbassare la glicemia più rapidamente di quanto previsto.
Gli analoghi prodotti in laboratorio
Oggi sono disponibili diversi tipi di preparati insulinici. In Italia i più prescritti sono gli analoghi dell’insulina, ovvero insuline prodotte in laboratorio, simili nella loro struttura all’insulina umana, ma con modificazioni studiate per modificarne la durata d’azione.
In questo modo, riescono meglio a rimpiazzare la secrezione di insulina da parte delle beta cellule distrutte dall’autoimmunità. Sarà comunque il medico a consigliare a ogni paziente i diversi tipi di insulina e il loro dosaggio.
In ogni caso, l’insulina va iniettata prima dei pasti, possibilmente dopo aver effettuato un controllo della glicemia capillare con un apparecchio domiciliare. In base al proprio livello di glicemia e al tipo di pasto che si consumerà, si dovrà regolare la dose necessaria (detta bolo insulinico). Infatti, la quantità non è standard, ma va calibrata di volta in volta e può cambiare nel tempo.
Non solo siringhe
Fino a qualche tempo fa, gli unici strumenti a disposizione per somministrare l’insulina erano le siringhe, originariamente di vetro da bollire ogni volta, poi di plastica monouso. Oggi, i malati possono contare su nuovi supporti, in particolare la penna.
Per quanto riguarda le siringhe, occorre sapere che l’insulina è conservata in un flacone: il paziente deve aspirare la dose necessaria con la siringa, quindi iniettarla nel proprio corpo.
Le siringhe oggi in commercio non hanno spazio morto, riducendo la possibilità di formazione di bolle d’aria, hanno ago fisso e particolarmente sottile e acuminato, e un pistone perfettamente aderente alle pareti della siringa. Oggi, tuttavia, le siringhe, anche quelle monouso, sono state quasi completamente abbandonate.
Le penne per insulina sono molto più pratiche: poco più grandi di una normale penna stilografica, all’interno hanno una cartuccia (tubofiala) di insulina il cui fondo in gomma viene spinto avanti da uno stantuffo (come nelle siringhe) in base alla dose da somministrare, in punta hanno un ago che viene sostituito a ogni uso, all’altra estremità una rotellina che consente di stabilire la dose di insulina da somministrare. Esistono penne ricaricabili in cui si sostituisce la cartuccia quando è finita e penne usa e getta che si buttano quando finisce la cartuccia. Esistono poi penne che consentono di somministrare anche la mezza unità di insulina per bambini o persone che si somministrano boli molto piccoli di insulina.
Controlli regolari
Durante i primi mesi dopo la diagnosi, la persona deve sottoporsi a controlli regolari, durante i quali si verifica se c’è un miglioramento della glicemia ed, eventualmente, si modificano i dosaggi dell’insulina. Questi primi incontri servono anche per dare un supporto psicologico ed “educare” il paziente.
I medici spiegano che cosa significa essere malati di diabete e come bisogna comportarsi per gestire al meglio la malattia in ogni occasione, dalla cena al ristorante ai lunghi viaggi, dalla gita scolastica all’attività fisica.
Inoltre, forniscono informazioni pratiche, da come conservare l’insulina a come iniettarla, da come misurare la glicemia a come tutelarsi sul lavoro e così via.
La priorità degli argomenti dipende ovviamente dall’età del paziente. Molti degli aspetti trattati verranno rivisti nel tempo perché negli anni cambieranno i bisogni e gli interessi della persona con diabete.
Naturalmente il coinvolgimento della famiglia è molto importante soprattutto se il paziente è un bambino o un adolescente. Le famiglie con bambini o adolescenti a cui viene posta una diagnosi di diabete potranno trovare sostegno, oltre che presso un centro di diabetologia pediatrica, anche presso associazioni dove altre famiglie di bambini con diabete possono condividere la loro esperienza e fornire supporto.
Un altro aiuto per i pazienti in età pediatrica viene dai campi estivi, dove gruppi di bambini o ragazzi con il diabete possono trascorrere alcuni giorni imparando a gestire autonomamente la malattia insieme a medici, infermieri e psicologi con esperienza in diabete.
I nuovi microinfusori
Nelle persone con diabete di tipo 1 che non riescono a mantenere un buon controllo metabolico con tre-quattro iniezioni di insulina al giorno, nei pazienti che hanno frequenti ipoglicemie o ipoglicemie poco sintomatiche e nelle donne diabetiche che cercano un figlio o sono incinte si può ricorrere all’uso dei microinfusori.
I microinfusori sono pompe di precisione di dimensioni ridotte che somministrano di continuo, 24 ore su 24, le quantità di insulina programmate e necessarie per mantenere i valori di glicemia il più possibile vicini alla normalità. A questa somministrazione continua vengono poi sovrapposti i boli insulinici prima dei pasti e di eventuali spuntini.
L’infusione avviene attraverso un ago di plastica flessibile, inserito in sottocute e connesso al microinfusore da un tubicino sottile in plastica. Il microinfusore viene portato alla cintura, in tasca o nel reggiseno, è alimentato da una piccola batteria e dotato di un allarme che avvisa il paziente se il tubicino è ostruito o piegato o se l’ago è uscito dalla sua sede e l’infusione di insulina non è regolare.
Alcuni pazienti che portano il microinfusore utilizzano anche un sensore che consente di misurare costantemente la glicemia nelle 24 ore attraverso uno speciale ago in materiale plastico inserito in sottocute. La rilevazione continua della glicemia consente di programmare al meglio il microinfusore consentendo di ottimizzare il controllo.
Anche i sensori hanno allarmi che consentono di allertare i pazienti quando le glicemie stanno scendendo o salendo troppo, mostrando su una unità esterna simile a un telefonino il grafico della glicemia nelle ultime ore.
Esistono poi microinfusori che, abbinati a un sensore per la misurazione continua della glicemia, possono interrompere la somministrazione di insulina in caso di glicemia bassa o addirittura prima che la glicemia scenda al di sotto di un certo valore soglia: questo tipo di tecnologia permette di evitare quasi del tutto l’ipoglicemia ed è particolarmente utile in pazienti che non percepiscono o percepiscono poco l’ipoglicemia o che hanno frequenti episodi ipoglicemici importanti.
Microinfusori e sensori registrano costantemente le quantità di insulina somministrate come infusione basale e come boli e le glicemie misurate: scaricando questi dati su un computer, sia il medico sia la persona possono verificare l’andamento delle glicemie, adattando al meglio la somministrazione dell’insulina durante la giornata, la notte e ai pasti.
L’utilizzo di queste tecnologie richiede un’attenta istruzione in un centro di diabetologia specializzato.
Il trapianto di “pezzi” di pancreas
Da molti decenni, i ricercatori di tutto il mondo stanno lavorando per arrivare a rimpiazzare le beta cellule del pancreas distrutte dal processo autoimmune, ossia per guarire il diabete di tipo 1.
Due sono stati gli approcci più studiati: il trapianto di pancreas e il trapianto di isole pancreatiche, ossia della porzione del pancreas che produce ormoni tra cui appunto l’insulina.
Il trapianto di isole pancreatiche consiste nell’infusione nel fegato, attraverso la vena porta, in anestesia locale, di isole pancreatiche isolate dal pancreas di un donatore.
Il trapianto di pancreas consiste nel trapianto di una porzione di pancreas proveniente da un donatore mediante un intervento chirurgico in anestesia generale.
Quando il trapianto di isole o il trapianto di pancreas funzionano, il paziente non ha più bisogno di iniezioni di insulina e le sue glicemie ritornano praticamente normali.
I limiti dell’intervento
Negli ultimi anni sono stati fatti enormi passi in avanti su questi due fronti, ma ancora oggi esistono delle limitazioni all’applicazione su larga scala del trapianto di isole e del trapianto di pancreas.
La maggiore è rappresentata dalla necessità di una terapia immunosoppressiva (antirigetto) a lungo termine: le isole o il pancreas trapiantati non vengono accettati dall’organismo del ricevente che, a distanza di qualche giorno dal trapianto, le rigetta.
Per evitare questo “rifiuto” vengono usati farmaci immunosoppressori, che impediscono al sistema immunitario del paziente trapiantato di attaccare le nuove isole e distruggerle. Questi farmaci possono avere considerevoli effetti collaterali e devono essere presi per tutto il tempo in cui il trapianto funziona.
L’altro grosso limite, soprattutto nel caso del trapianto di isole, è che la loro funzionalità tende a esaurirsi con il passare degli anni, forse per azione degli immunosoppressori o per una condizione di rigetto cronico.La ricerca scientifica degli ultimi anni si sta impegnando per ottenere immunosoppressori più tollerabili, più sicuri e più efficaci.
Solo per pazienti selezionati
In Italia ci sono centri di riferimento che offrono il trapianto di pancreas o di isole pancreatiche a selezionati pazienti con diabete di tipo 1.
La necessità di selezionare con attenzione i pazienti candidati a un trapianto si basa sull’invasività di queste procedure che presentano, anche nelle mani migliori, un certo margine di rischio (minore per il trapianto di isole rispetto a quello di pancreas) e sulla necessità nel lungo termine di una terapia immunosoppressiva, anch’essa non priva di rischi per la salute.
Questi rischi vanno molto attentamente bilanciati con i potenziali benefici di queste procedure, come la normalizzazione della glicemia, il positivo effetto su eventuali complicanze, l’eliminazione delle ipoglicemie gravi.
A oggi, il trapianto di isole o di pancreas è riservato a pazienti per i quali è stato fatto tutto il possibile per migliorare la situazione attraverso l’educazione, l’ottimizzazione della terapia insulinica multiniettiva, nonché l’uso di microinfusori e sensori.
Allo studio staminali e biotecnologie
È molto probabile che in futuro si assisterà a un miglioramento significativo di questi approcci per la cura del diabete di tipo 1.
La nuova frontiera della ricerca per la cura del diabete di tipo 1 è rappresentata dalle cellule staminali e dalle biotecnologie, come la possibilità di impiantare le isole in contenitori che le proteggano dal sistema immunitario, pur consentendo lo scambio di ossigeno e nutrienti, nonché l’immissione in circolo di insulina: la strada per arrivare all’uso clinico di questi nuovi approcci nei pazienti è però ancora molto lunga.