La solitudine degli uomini
Nel corso della loro vita uomini e ragazzi sono più esposti all’isolamento sociale rispetto a donne e ragazze. E anche in terza età potrebbero fare più fatica a socializzare
Lo abbiamo sentito ripetere fino alla nausea e forse c’è un fondo di verità. La quantità e la qualità delle nostre relazioni ha una ricaduta sulla salute e sul benessere, tanto che alcuni studiosi ritengono che lunghi periodi di isolamento sociale possano aumentare il rischio di demenza, malattie cardiovascolari e depressione, oltre a compromettere la longevità.
Una questione approfondita da un recente studio pubblicato sul Journal of Health and Social Behavior, i cui risultati suggeriscono che a partire dall’adolescenza il livello di isolamento cresca in maniera consistente per tutti gli adulti.
Ognuno per sé
A prescindere dal genere di appartenenza, spiegano i ricercatori, la vita sociale degli adulti tende a ridursi sensibilmente tra i 18 e i 42 anni, tanto per i single quanto per chi ha relazioni stabili. Almeno nel contesto nord-americano – quello preso in esame dai ricercatori, confrontando due studi longitudinali sulla popolazione statunitense e ottenendo un campione complessivo di 12.885 donne e 9271 uomini – sembra che la vita adulta comporti la rinuncia a molte relazioni significative, anche se i più isolati fino alla terza età sono uomini e ragazzi, in particolare chi ha una storia coniugale complicata.
Arrivati alle sessanta candeline, il gender gap inizia a chiudersi per poi invertire la rotta intorno ai 68 anni, con le donne anziane come categoria più esposta all’isolamento sociale.
Più isolati significa anche più soli?
Non è il primo studio a soffermarsi sulle differenze di genere. Nel 2020, in un articolo pubblicato su Trends in Urology & Men’s Health un team di ricercatori del Regno Unito ha ipotizzato che isolamento sociale e solitudine (che ricordiamo non essere sinonimi) possano avere conseguenze piuttosto serie sulla salute, in particolare di quella maschile. Effetti che possono essere esacerbati dalla povertà, dalla bassa scolarizzazione o da difficoltà legate al territorio, ma anche da fattori culturali.
In tema di solitudine, colpisce il fatto che a soffrirne maggiormente siano i vedovi e gli scapoli, mentre per le donne vale il discorso inverso.
Una disparità che secondo gli autori potrebbe essere attribuita alla tendenza delle donne a formare più facilmente reti di relazioni che possano costituire un capitale sociale a cui ricorrere nel momento del bisogno, in particolare se non si sono mai sposate, mentre gli uomini tendono a fare affidamento quasi esclusivamente sulle reti costruite dalle loro partner o dalla loro famiglia.
Conta anche la qualità
Non è solo una questione di quantità, ma anche di qualità. Un altro vantaggio femminile, proseguono gli autori, è la relativa facilità con cui si stringono legami emotivamente profondi, o con cui si rinsaldano i legami periferici ammettendo nel proprio circolo anche amiche di amiche, parenti, vicine. Più che estroversione, si tratta di competenze sviluppate nel tempo. Ma in una visione tradizionale dei ruoli di genere tenere unite le persone è spesso un compito femminile.
Per incoraggiare gli uomini anziani a socializzare, nel Regno Unito si sono dimostrate più efficaci le strategie di contrasto alla solitudine che tengono conto di queste differenze. Offrire attività con un risvolto pratico, o che permettono di mettere le proprie competenze al servizio del gruppo, funziona perché fa sentire utili, capaci e coinvolti.
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