Lo smartworking non fa l’uomo casalingo
Le nuove modalità di lavoro non hanno portato a una più equa redistribuzione del lavoro domestico e di cura all’interno della famiglia. Anzi, la parità di genere rischia di fare grandi passi indietro
Su chi è pesato di più il lavoro familiare durante la pandemia? A prescindere dalla combinazione di modalità lavorative, le donne continuano a dedicare più ore dei loro partner al lavoro domestico. Lo raccontano due riviste online specializzate in questioni di genere, l’italiana InGenere e l’americana Gender & Society, confermando dati alla mano che lo smartworking non ha modificato granché la consuetudine che vuole le donne eterne equilibriste. E per le mamme di bambini sotto i cinque anni, conferma il rapporto di Save the Children, la situazione è ancora più sconfortante.
Come farà a far tutto?
Nell’ormai lontano 1989 la sociologa americana Arlie Hochschild gli ha dedicato un saggio intero: il cosiddetto “second shift”, ovvero il secondo turno che impegna le donne oltre l’orario di lavoro per tenere la casa pulita e dedicarsi all’educazione dei figli, non risparmia nemmeno chi ha una cattedra all’Università di Berkeley.
Trentadue anni e una pandemia più tardi, la divisione del lavoro domestico all’interno delle famiglie rimane sbilanciata.
In questo l’Italia e gli Stati Uniti si somigliano: entrambe le riviste sottolineano come la pandemia abbia penalizzato l’occupazione femminile e di come la chiusura delle scuole abbia rappresentato per molte mamme un terzo lavoro. La disparità si accentua quando è solo lei a lavorare da remoto, ma è curioso che a parti invertite gli uomini non si siano fatti carico di più incombenze rispetto alla partner che ha continuato a lavorare in presenza.
Una tacita consuetudine
Non è un caso se l’ultimo rapporto di Save the Children sulla maternità in Italia si intitola Le equilibriste. La pandemia è costata il lavoro a 96.000 donne con figli minorenni, per lo più con bambini di età inferiore ai cinque anni. Se è il lavoro delle mamme è sempre più sacrificabile (specie se part-time) non è solo perché contribuisce meno al bilancio domestico, ma perché ci si aspetta che sappiano mettere il benessere della famiglia davanti a sicurezza economica e ambizioni professionali. In mancanza di adeguati servizi per l’infanzia o del supporto di nonni e altri parenti, per molte non resta altra scelta che presentare le dimissioni. Lo svantaggio è così evidente che la pandemia ha incrementato ulteriormente il numero delle inattive, ovvero di chi a cercare di tenere tutto in equilibrio ci ha definitivamente rinunciato.
Chiedere di più
Se è vero che i più giovani non considerano un affronto alla loro mascolinità caricare una lavatrice o lavare i piatti, abbiamo visto che il carico mentale e materiale del lavoro domestico continua a pesare in maniera sproporzionata sulla partner femminile. Come suscitare uno spirito collaborativo in un partner che non è abituato a pensarsi casalingo?
- Non fare la fatina del pulito. La casa non si pulirà di certo da sola, ma perché qualcuno se ne accorga è necessario dargli il tempo di notarlo.
- Andare incontro alle predilezioni di ognuno. Più che puntare a una suddivisione rigida dei compiti fin da subito, meglio sperimentare diverse rotazioni che permettano a entrambi di sfruttare i propri punti di forza e di scoprire in cosa si è più efficienti.
- Alternare i compiti più noiosi. Quanto ai compiti che proprio è difficile farsi piacere, che sia pulire il forno o togliere il calcare dalla doccia, alternarsi è un buon compromesso perché nessuno si senta incastrato.
- Non criticare troppo. In altri paesi l’economia domestica è insegnata a scuola, senza distinzioni tra maschi e femmine. Nel nostro invece ognuno impara da sé, a seconda delle opportunità e della necessità. Insegnare con pazienza è meglio che criticare, dando la possibilità a chi non ha mai imparato di migliorare.
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