08/06/2021

Gridare di gioia

Veronica Colella Pubblicato il 08/06/2021 Aggiornato il 08/06/2021

Gridare di gioia è un atto tipicamente umano, tanto che risulta più facile da interpretare rispetto alle grida di rabbia o di paura 

Shot of a sporty young woman screaming in celebration on a tennis court

Quando sentiamo un urletto di felicità lo riconosciamo subito. Ecco perché abbiamo imparato a non allarmarci davanti alle scene di ordinaria devozione calcistica o musicale, anche quando l’amica più mesta che abbiamo si rivela capace di sfoderare un’estensione vocale degna di Mariah Carey.

Quello che in natura è un sistema efficace per segnalare un pericolo o chiedere aiuto per noi esseri umani è diventato un modo per esprimere una gamma di sentimenti più vasta, dalle esplosioni di gioia incontenibile a quelle di profonda disperazione.

Una particolarità che un gruppo di ricercatori dell’Università di Zurigo ha approfondito in uno studio pubblicato su PLOS Biology, scoprendo che il nostro cervello è in grado di distinguere e identificare fino a sei tipi di grida differenti.

Perché gridiamo

Non tutte le urla sono uguali. Per registrare un campione il più possibile esaustivo, i ricercatori hanno chiesto a un primo gruppo di 12 partecipanti di emettere a richiesta l’urlo più appropriato al suo contesto. Provate a immaginare di essere aggrediti in un vicolo buio da uno sconosciuto armato di coltello o di guardare l’Italia che rimonta agli Eurovision scippando la vittoria alla Francia, sicuramente non griderete allo stesso modo. Attraverso un esercizio di immaginazione molto simile i ricercatori hanno ottenuto sei tipi di grida – di dolore, di rabbia, di paura, di piacere, di tristezza o di gioia – più un urlo “neutro” prodotto senza alcuna emozione, limitandosi semplicemente a intonare a gran voce la vocale “a”.

Piacere e gioia hanno la priorità

A un gruppo di 33 volontari è stato chiesto di ascoltare le registrazioni e classificare ogni urlo in base alle emozioni espresse, mentre un altro gruppo di 35 volontari è stato messo alla prova in velocità. Due sole registrazioni, da categorizzare il più rapidamente possibile come allarmanti (dolore, rabbia o paura) o non-allarmanti (piacere, tristezza o gioia). A sorpresa, a essere interpretati con più facilità e precisione non sono i segnali di allarme ma quelli che esprimono emozioni positive: un risultato confermato in una terza fase utilizzando la risonanza magnetica funzionale per analizzare l’attività cerebrale di altri 30 volontari.

In natura e in società

Secondo i ricercatori, la priorità acquisita dalle emozioni positive potrebbe essere spiegata almeno in parte dalla nostra storia evolutiva. Rispetto agli altri primati viviamo un contesto sociale molto più complesso, in cui le interazioni con i nostri simili sono rilevanti per la sopravvivenza quanto la capacità di individuare minacce nell’ambiente circostante. Se nel mondo animale gridare è un modo di segnalare un pericolo o chiamare a sé i propri alleati in caso di conflitto, gli esseri umani sembrano essere i soli al mondo a gridare di felicità.