17/01/2023

Me lo fai un sorriso?

Veronica Colella Pubblicato il 17/01/2023 Aggiornato il 17/01/2023

Mostrarsi sempre felici e sorridenti è un lavoro a tempo pieno, che spesso costa fatica. Per questo a volte ci si può concedere anche di esprimere il proprio malumore 

Portrait of a beautiful young woman outdoors.

A tutti piace essere serviti con il sorriso, accolti con una parola gentile, coccolati da quelle piccole attenzioni che ti fanno sentire speciale. E se ci fermiamo a pensare a quante energie vengono spese per mantenere uno spirito piacevole e zen – anche quando in una giornata non si hanno cinque minuti per sedersi, o si fa da parafulmine per i malumori di decine di sconosciuti – non stupisce che essere felici per forza costi tanta fatica. Secondo una ricerca del Terry College of Business at the University of Georgia, le energie spese per allontanare il malumore erodono le riserve emotive. A fine giornata si è più stanchi e svogliati, tanto che si inizia a chiedersi se davvero ne vale la pena.

Recitare stanca

Il tema non è propriamente nuovo. Già nel 1979 la sociologa Arlie Russell Hochschild coniava l’espressione “lavoro emotivo” pensando proprio all’impegno richiesto alle hostess di linea per essere sempre dolci e calorose, alle segretarie per essere sorridenti e disponibili, o a chi lavora nella riscossione debiti per impedire che l’empatia prenda il sopravvento.

Alla lunga non basta mostrarsi felici o impassibili, in qualche modo bisogna diventarlo davvero.

Una gestione delle emozioni e dei sentimenti che fa parte del lavoro e costa energie, anche se spesso viene mascherata da inclinazione naturale. Per chi lavora a contatto con il pubblico tornano utili le stesse tecniche di recitazione profonda che gli attori utilizzano per entrare in parte, ma non sempre il trucco riesce. E chi è meno bravo nel tracciare una linea tra i sentimenti evocati o repressi a comando sul lavoro e la propria spontaneità prima o poi entra in crisi, se non in burnout.

Felici e produttivi sì, ma non sempre

Le intuizioni di Hochschild hanno avviato una riflessione sulle migliori strategie per conciliare benessere e capacità di adattare le proprie emozioni al contesto lavorativo. Aiuta avere ai vertici manager consapevoli che i dipendenti davvero felici sono anche più produttivi, ma non basta. Il problema alla radice, sottolineano i ricercatori di quest’ultimo studio, è l’aspettativa irrealistica che si possano eliminare del tutto le emozioni negative.

Ignorando che il malumore è umano, così come la frustrazione o la tristezza. E persino quando ci si sforza di allontanare il pensiero e di trasformarsi a comando in persone felici, il costo di questa transizione lascia come svuotati e mina la concentrazione.

Vivere le giornate storte

Al netto delle differenze caratteriali, le giornate in cui si lavora in maniera più svogliata o ci si scontra con i colleghi risultano essere quelle in cui si hanno sbalzi d’umore più intensi, o quelle in cui si sprecano più energie nel tentativo di raggiungere quella serenità che si sente di dover mantenere per essere professionali. Lo rivelano le osservazioni di ricerca su 162 professionisti, tra commessi e agenti immobiliari, così come l’esperimento in laboratorio sulla manipolazione delle emozioni.

Insomma, persino la felicità diventa una fonte di stress se la si trasforma in dovere. Sarebbe meglio permettersi di vivere le giornate storte così come sono, se possibile delegando o rimandando quei compiti o quelle interazioni che richiedono una dose extra di pazienza e buonumore.