Arrabbiata con il marito perché ha il morbo di Parkinson
Non stupisce una reazione di rabbia in risposta a una diagnosi di malattia degenerativa che riguarda il compagno di vita. Ma con il passare dei giorni occorre venire a patti con la nuova situazione, per recuperare il proprio equilibrio emotivo.
Cara dottoressa,
ho 58 anni e a mio marito di 68 anni è stato diagnosticato il morbo di Parkinson. Ho paura di quello che mi aspetta e dentro di me sta crescendo una rabbia incontrollabile. Da quel momento sono molto arrabbiata con lui, lo tratto male e ho solo voglia di fuggire con qualcuno di più giovane e sano. Sono una brutta persona, lo so ma non riesco a vincermi. Mi aiuti, la prego…
Dottoressa Franca Valdo
Gentile lettrice,
l’esperienza della diagnosi dì malattia non è mai semplice e di facile impatto, tanto più se l’evento a cui si lega è improvviso e non preceduto da un periodo di graduale adattamento.
Nella vicenda da lei descritta il suo ruolo e la sua posizione sono quelli di una persona che sta prendendo coscienza di essere il referente diretto (e forse unico ?) di un paziente con
malattia cronica degenerativa e, pertanto, si sente investita di compiti assistenziali e di sostegno ( la cosiddetta figura del care-giver) che potrebbero, ma non è detto, rendersi
necessari in un prossimo futuro. Dal canto suo, in qualità di moglie, sembra proprio che stia reagendo all’evento in modo del tutto disfunzionale e non utile al superamento dello
stallo psicologico in cui è venuta a trovarsi… Il filo conduttore che potrebbe portarla al superamento di tale spiacevole condizione, sta proprio in quella reazione di rabbia incontenibile che sta provando verso il suo partner, il quale è ovvio che non può avere colpe riguardo all’accaduto. Intendo dire che lei sta provando un’emozione non genuina, ai fini di una sana elaborazione dell’evento perché la rabbia, in questo caso, sembra possedere un valore “strumentale”, di natura manipolativa, che nel suo caso evidentemente non porta con sé una vera sofferenza, come potrebbe essere nel caso di altre emozioni più appropriate come la tristezza e l’angoscia, con l’effetto paradossale di mantenerla distante da un reale coinvolgimento. Per cui se intende davvero superare la spiacevole condizione descritta, potrebbe trarre giovamento da un aiuto psicologico individuale, possibilmente orientato sul versante dell’esperienza emotiva, riparativa e trasformativa della personalità. L’obiettivo del trattamento nel suo caso consisterebbe nell’accedere allo schema emotivo disadattivo, affinché possa essere esplorato e ristrutturato nella terapia. Con cordialità.
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