Le malattie delle valvole
Quando si parla di malattie del cuore i più pensano ad atri, ventricoli e coronarie. Pochi si ricordano delle valvole. Invece, anche queste possono andare incontro a patologie. Le più comuni sono stenosi e insufficienza. Ecco di che cosa si tratta.
Stenosi e insufficienza
Le valvole cardiache possono sviluppare stenosi o insufficienza.
Per stenosi si intende un’ostruzione del flusso sanguigno a causa di un restringimento della valvola. In pratica, in conseguenza a fibrosi o a calcificazioni formatesi al suo interno, la valvola si restringe ostacolando il passaggio del sangue.
In caso di insufficienza, invece, le valvole si sfiancano o non si chiudono perfettamente e, quindi, consentono l’anomalo reflusso di sangue, per esempio nel caso della valvola aortica dall’aorta nel ventricolo.
Queste due alterazioni (stenosi e insufficienza) possono anche essere associate.
Le cause
Le malattie che colpiscono le valvole possono essere presenti dalla nascita (valvulopatie congenite) oppure svilupparsi nel corso della vita a causa di altre patologie.
La stenosi può essere la conseguenza di una malattia degenerativa che compare dopo i 60-70 anni: a causa dell’età, il tessuto valvolare può irrigidirsi, degenerare e calcificare.
In molti casi dipende da una malattia reumatica pregressa: una lesione infiammatoria dovuta a reazioni immunitarie che può colpire cuore, articolazioni, cute.
In genere, si manifesta dopo malattie dovute al batterio Streptococco (come malattie tonsillari), non curate con antibiotici adeguati (come penicilline). Spesso l’infezione si contrae in età pediatrica, ma le conseguenze compaiono nell’età adulta.
L’insufficienza può dipendere da un’infezione della valvola, che a sua volta può derivare da forme di endocarditi batteriche: infiammazione della membrana che riveste la superficie interna del cuore, chiamata endocardio, a opera di batteri (anche in questo caso può essere coinvolto lo Streptococco). Può anche essere legata a una dilatazione della struttura fibrosa che sostiene i lembi valvolari, per esempio per colpa di un infarto, dell’ipertensione arteriosa o di uno scompenso cardiaco.
Le valvole possono danneggiarsi anche in seguito a malattie autoimmuni, uso di alcuni farmaci (come gli anoressizzanti), malattie metaboliche (come diabete), radioterapia o malattie rare, quali il carcinoide e la sindrome di Marfan.
Tutti i fattori di rischio generici per le malattie cardiache aumentano il rischio di malattie alle valvole, quindi: ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, fumo di sigaretta, diabete, obesità e sovrappeso.
I sintomi
La stenosi è quasi asintomatica. Quando compaiono i primi campanelli di allarme, la situazione è già di una certa entità, non va quindi trascurata.
Fra le manifestazioni più comuni ci sono: dispnea, ossia mancanza di fiato anche durante lo svolgimento di semplici attività o addirittura a riposo; un dolore allo sterno simile a quello dell’angina, che peggiora con lo sforzo, o vera e propria angina; vertigini; stanchezza; svenimento; palpitazioni; tachicardia; gonfiori ai piedi e alle caviglie. Dopo uno sforzo può comparire anche senso di oppressione toracica, che regredisce con il riposo.
Anche l’insufficienza non sempre si manifesta e quando lo fa, comunque, dà origine a sintomi a volte poco caratteristici, come astenia (debolezza generale), angina pectoris, tosse, facile affaticabilità, dispnea che aumenta facendo uno sforzo o da sdraiati, respiro veloce, palpitazioni.
Le cure
Le malattie delle valvole cardiache non possono essere trattate con le cure farmacologiche. I farmaci, però, possono essere impiegati per tenere sotto controllo alcuni sintomi, cause o complicanze, per esempio si può ricorrere agli antipertensivi o agli antiaggreganti.
Per risolvere la stenosi e l’insufficienza bisogna necessariamente intervenire per via chirurgica, allo scopo di riparare o sostituire le valvole mal funzionanti con valvole “meccaniche” o “biologiche” (fatte con materiale di origine bovina o suina).
La riparazione
In alcuni casi selezionati si può procedere con la riparazione della valvola malata.
In anestesia generale, si esegue un’incisione più o meno lunga sul torace. Quindi, si collega il paziente al circuito per la circolazione extracorporea (costituito da una pompa e da un ossigenatore): una macchina che sostituisce la funzione dei polmoni e del cuore, momentaneamente inattivo.
A questo punto il cuore può essere fermato mediante l’infusione nelle coronarie di una speciale soluzione, chiamata cardioplegica.
Il chirurgo poi apre il cuore e raggiunge la valvola danneggiata. Per ripararla si possono utilizzare varie procedure: la parziale plicatura o resezione del lembo prolassato, il rinforzo del margine della valvola con filo di Goretex, la rimozione di piccole calcificazioni o fibrosi con bisturi sottilissimo, l’estensione dei lembi con patch (speciali cerotti) in modo che combacino meglio.
Alla fine dell’intervento il cuore viene richiuso. Quindi, viene riattivata la circolazione del sangue all’interno del cuore, oltre che all’interno dei polmoni, e viene staccata la macchina per la circolazione extracorporea. Il torace del paziente viene richiuso e dopo la medicazione delle ferite avviene il trasporto in terapia intensiva postoperatoria. Tutta la procedura viene eseguita sotto controllo ecografico.
La sostituzione
Quando non è possibile riparare la valvola, è necessario sostituirla. L’intervento classico di sostituzione avviene in modo del tutto simile a quello di riparazione. In questo caso, però, una volta che il chirurgo ha raggiunto la valvola danneggiata la sostituisce.
Oggi, oltre a questo intervento, esiste una procedura meno invasiva e meno rischiosa, riservata a pazienti ben selezionati: la sostituzione valvolare aortica transcatetere. In questo caso, la valvola “nativa” viene lasciata in sede e sopra viene impiantata quella artificiale.
La protesi può essere impiantata attraverso due modalità differenti: mediante una piccola incisione nel torace o tramite l’arteria femorale. Vediamo come si procede.
– Attraverso il torace
In anestesia totale, si effettua una piccola incisione di quattro-cinque centimetri tra due costole, nella metà sinistra del torace. Attraverso questo accesso si raggiunge il cuore e si introducono i cateteri necessari per l’operazione. Innanzitutto, attraverso un catetere, si fa passare un palloncino chiuso. Una volta che esso è arrivato alla valvola danneggiata, il medico lo gonfia dall’esterno: espandendosi, il palloncino riapre la valvola.
Successivamente, si procede con l’impianto della protesi valvolare. Prima si utilizza un apposito apparecchio che la rimpicciolisce, così che possa passare attraverso il catetere. Quindi, la valvola, rimpicciolita e montata su uno stent e un pallone chiuso, viene fatta arrivare sulla valvola “malata”. A questo punto, si gonfia anche questo secondo palloncino: la valvola di conseguenza viene sistemata sopra quella naturale e ancorata alla parete. Non è necessario applicare dei punti di sutura: la nuova valvola si ancora naturalmente, grazie alla forza esercitata dal gonfiaggio del palloncino.
In pratica, prima si riapre la valvola naturale, poi si posizione sopra di essa quella artificiale. Non c’è il rischio che la prima si richiuda, compromettendo la seconda, perché insieme alla nuova protesi, viene inserito anche uno stent, una gabbia metallica che serve a tenere aperta la vecchia valvola stenotica.
– Attraverso l’arteria femorale
Lo stesso intervento può essere eseguito anche attraverso una piccola incisione effettuata nell’arteria femorale, all’altezza dell’inguine. L’unica differenza è che in questo caso si può procedere con l’anestesia locale con sedazione. Questa procedura non può essere effettuata nel caso in cui le arterie femorali presentino delle calcificazioni o siano troppo piccole.
La valvuloplastica
In alcune persone selezionate si può ricorrere alla valvuloplastica, ossia alla dilatazione della valvola colpita da stenosi.
Si può procedere con l’operazione chirurgica tradizionale (apertura del torace e del cuore, circolazione extracorporea, utilizzo del bisturi) oppure con un catetere a palloncino introdotto attraverso un vaso sanguigno.
In quest’ultimo caso, in anestesia locale nella zona dell’inguine, il cardiologo inserisce, sotto controllo ecografico, un catetere dalla vena femorale (la vena della gamba) e lo spinge fino al cuore. A questo punto introduce gli strumenti necessari per effettuare il trattamento, in particolare il palloncino, costituito da uno speciale materiale anallergico, capace di dilatare la valvola ristretta.
Una volta raggiunto il punto del restringimento, il palloncino viene gonfiato, in modo da aprire, a livello delle commissure (i punti di contatto), i lembi chiusi: resta gonfio per pochissimi secondi, quindi viene tolto e nuovamente gonfiato per altre due o tre volte fino a ottenere il risultato desiderato.