14/09/2020

La mastite

Si tratta di un’infiammazione del seno che, nella sua forma più comune, colpisce le neomamme che allattano o quelle che decidono improvvisamente di non offrire più il loro latte al bebè. Non espone a conseguenze serie, ma è molto fastidiosa e dolorosa. Per questo, è bene adottare tutte le precauzioni possibili per prevenirla. Ecco quelle più utili.

UN’INFIAMMAZIONE DELLA MAMMELLA

Per mastite si intende un processo infiammatorio che colpisce tutta la mammella o solo una sua parte di essa e che in genere è sostenuta da una proliferazione batterica.
Abitualmente, i medici distinguono fra:

– mastiti puerperali, che compaiono durante l’allattamento e sono dovute essenzialmente alla penetrazione nella mammella di batteri (soprattutto agenti patogeni Staphiloococcus aureus e altri gruppi di Streptococcus);

– mastiti non puerperali, che sono tutte quelle affezioni infiammatorie a carico del seno non comprese nel periodo dell’allattamento e dovute a cause diverse, come ectasia periduttale con ristagno di secrezioni, ferite chirurgiche recenti, infezioni batteriche, eccesso transitorio di estrogeni, ragadi.

In tutti i casi, i sintomi caratteristici sono rossore, calore cutaneo della ghiandola mammaria, concomitante spesso a febbre. In alcuni casi, compare anche tumefazione e talvolta si associa pure una presentazione cutanea a pelle a buccia d’arancia, indicativa di una stasi linfatica.

Più comune durante l’allattamento

La forma di mastite più diffusa in assoluto è quella definita puerperale, che si manifesta nel periodo dell’allattamento e interessa molte delle donne che allattano.
Generalmente insorge durante le prime sei settimane dopo il parto, ma può presentarsi anche in qualsiasi altro momento dell’allattamento.
La mastite è sempre causata dall’ingresso all’interno della mammella di microrganismi che si trovano normalmente sulla pelle del seno o anche nella bocca del bambino, dove danno origine al processo infiammatorio. Può presentarsi a un solo seno o a entrambi.

LE CAUSE PIÙ FREQUENTI

È possibile che la mastite insorga a seguito di un dotto galattoforo otturato: in pratica, il latte non riesce a defluire completamente dai dotti galattofori, in genere perché il bambino non succhia abbastanza o in modo corretto (si dice, cioè, che “non si attacca bene”). Tende quindi a ristagnare all’interno del dotto, dove costituisce una sorta di terreno di coltura per i batteri, e a formare coaguli che bloccano ulteriormente il flusso di altro latte. Il dotto otturato allora si infiamma e, al tatto, è possibile avvertire una massa dolorosa nella mammella.

Altri fattori che possono favorire la mastite sono: lunghi intervalli tra le poppate o poppate poco frequenti, attaccamento insufficiente al seno con conseguente estrazione inadeguata del latte, produzione eccessiva di latte, stress e stanchezza della mamma, svezzamento rapido, una compressione continua sullo stesso punto del seno con le dita, per esempio mettendo le dita a “forbice” per sostenere il seno, o per colpa delle spalline del marsupio/fascia portabebé o della tracolla della borsa. Ma le cause più frequenti della comparsa di mastite sono le ragadi e l’ingorgo mammario.

Le ragadi

Spesso la mastite deriva dalla presenza di ragadi, ossia screpolature e/o piccole lesioni che possono comparire sul capezzolo e causano un dolore molto intenso: esse, infatti, rappresentano una porta di ingresso per i germi, che quindi possono arrivare facilmente alla mammella e infiammarla. A loro volta, le ragadi possono derivare da un attacco non corretto del bambino (se succhia male e afferra solo la punta del capezzolo, può provocare piccoli traumi al capezzolo stesso), dall’eccessiva umidità della zona e dall’aumento di volume del seno.

Si tratta di piccoli traumi del capezzolo, che si manifestano con spaccatura della pelle dell’areola e/o dei capezzoli stessi. Le ragadi sono molto dolorose e, se grandi, potrebbero sanguinare.
È stato scientificamente provato che esse non sono la conseguenza di una scarsa igiene o cura del seno come molte mamme pensano, ma di un attacco sbagliato del bebè. Se il bebè succhia solo la punta del seno, infatti, può esporla a piccoli traumatismi.
Una volta corretti l’attacco e la posizione del piccolo, le ragadi guariscono da sole nel giro di pochi giorni. Per accelerare il processo, è utile spalmare sui capezzoli un po’ di latte della mamma spremuto ed esporli all’aria.
Per evitare ragadi e indolenzimenti, quando si deve staccare il bambino dal seno mentre poppa, inserire il dito mignolo nella sua bocca, interrompendo così il vuoto d’aria.

L’ingorgo mammario

All’origine della mastite può esserci anche un ingorgo, ossia una congestione di liquidi nella mammella: non solo latte, ma anche sangue e linfa. La donna che ne soffre manifesta tensione, dolore, malessere generale e il bambino ha difficoltà ad attaccarsi al seno.
Prima della poppata, per facilitare l’attacco del bambino, può essere utile ammorbidire il seno con dei massaggi, premendo la mano verso l’alto e lateralmente in direzione dei nodi linfatici. Successivamente massaggiare delicatamente procedendo a spirale dall’attaccatura verso il capezzolo.

Eventualmente, si può spremere un po’ di latte manualmente o con un tiralatte (se l’areola non è molto tesa, altrimenti il tiralatte potrebbe aggravare ulteriormente l’edema dell’areola stessa).
Sì anche agli impacchi caldi e umidi prima della poppata per favorire il drenaggio del seno, ma solo per uno-due minuti al massimo perché il calore può aggravare l’edema.
Tra una poppata e l’altra, invece, si può applicare del ghiaccio avvolto in un panno, per disinfiammare e decongestionare. Per ridurre l’infiammazione e diminuire il dolore si può applicare anche una foglia di cavolo.

Provare ad allattare in una posizione diversa

Sia per combattere l’ingorgo sia per combattere la mastite, la mamma può provare altre posizioni per allattare il piccolo.
Per esempio si può stare sdraiate: la mammella poggia così sulla superficie del letto e il contatto stesso ne favorisce lo svuotamento. Oppure, si può provare “a quattro zampe”: la forza di gravità attira il latte verso il basso.
Utile anche la posizione “da rugby”: la mamma tiene il bimbo sotto il braccio come i giocatori di rugby tengono la palla, cioè con la testina verso l’interno e i piedi rivolti all’esterno (passano sotto l’ascella della mamma). Le esperte dell’allattamento sostengono che questa posizione è la migliore per favorire lo svuotamento del seno.

I SINTOMI

La mastite si presenta con tre sintomi caratteristici: intenso dolore al seno; pelle arrossata, calda, in tensione; seno duro.

A volte possono comparire anche febbre sopra i 38 gradi, malessere, senso di spossatezza e di “ossa rotte”, proprio come succede quando si ha l’influenza.

LE CURE

In presenza di una mastite non bisogna interrompere l’allattamento. Al contrario, è bene continuare ad allattare il bambino, possibilmente attaccandolo solo alla mammella affetta per favorire lo svuotamento.
Mentre il bambino succhia si può favorire ulteriormente lo svuotamento del seno premendo con la mano sul seno, in direzione del capezzolo. Per la mammella sana si può usare il tiralatte.

Su consiglio dell’esperto, si possono fare brevi impacchi caldi e umidi. Si può applicare sul seno una borsa dell’acqua calda avvolta in un telo di spugna bagnato oppure fare una doccia o spugnature calde (non esagerare per non peggiorare l’edema).

La mamma dovrebbe cercare di riposare il più possibile; è raccomandabile mettersi a letto col bambino e lasciare che abbia libero accesso al seno.

Se la mastite è seria e non si risolve nel giro di due o tre giorni, il ginecologo può prescrivere l’utilizzo di antibiotici compatibili con l’allattamento.

LE FORME CRONICHE

Esistono anche mastiti croniche, che ovviamente non riguardano donne in allattamento. Fra queste, una delle più comuni, ma purtroppo anche più sottovalutate, è la mastite periduttale: si tratta di una malattia infiammatoria di tipo cronico, dall’andamento altalenante, con periodiche riacutizzazioni.
L’infiammazione si manifesta con arrossamento e gonfiore nella zona che circonda l’areola. Questi sintomi possono essere preceduti o accompagnati da secrezione dal capezzolo verdastra, sierosa, con tracce di sangue o totalmente ematica.

Se gli episodi infiammatori si ripetono con frequenza, la loro cronicizzazione provoca la formazione di un nodulo duro vicino all’areola, aderente alla cute, che può provocare retrazione del capezzolo e ingrossamento dei linfonodi ascellari.
La comparsa di questa mastite deriva, nella maggior parte dei casi, da una lesione della parte terminali dei dotti, spesso per colpa del fumo.

Quando l’infiammazione attraversa la fase di riacutizzazione, in genere il medico prescrive l’assunzione di antibiotici. L’unica soluzione definitiva, per evitare recidive, è rappresentata dalla resezione selettiva del tratto terminale del capezzolo interessato, con ricostruzione del capezzolo. Ovviamente, è necessario smettere di fumare.

DA SAPERE

1.     Anche i reggiseni troppo stretti possono favorire la mastite, perché comprimono il seno non permettendo un corretto svuotamento delle mammelle.

2.     Smettere di colpo di allattare il bimbo espone al rischio di ingorgo mammario, perché la produzione di latte non si interrompe altrettanto rapidamente, ma impiega qualche settimana.

3.     Togliere il reggiseno durante l’allattamento può essere d’aiuto.

4.     Verificare che sul capezzolo non sia presente un puntino bianco o una pellicina che ostruisce un dotto. In tal caso, provare a sfregare il capezzolo con un asciugamano bagnato per cercare di togliere l’ostruzione.