Alessandro Preziosi: corpo a corpo con Van Gogh a teatro
Alessandro Preziosi affronta forse il suo personaggio più maturo in Vincent Van Gogh, l'odore assordante del bianco, pièce teatrale scritta da Stefano Massini, in cartellone al teatro Manzoni di Milano fino al 2 dicembre e poi in tournée in tutta Italia
Quando si pensa a lui, è impossibile non ricordarlo nel ruolo del conte Fabrizio, nella fiction tv Elisa di Rivombrosa, che gli ha regalato il successo presso il grande pubblico. Ma ha interpretato anche tanti altri personaggi al cinema, dall’Antonio un po’ ambiguo di Mine vaganti al Giulio di Passione sinistra, tanto sicuro di sé. E poi c’è il teatro, in cui ha esordito giovanissimo, e ruoli chiave come quello di Amleto. Il denominatore comune? Personaggi maschili in cui la bellezza e il physique du rôle di Alessandro Preziosi sono essenziali nel racconto. Immaginatelo ora tormentato, con il viso segnato dalla sofferenza, lo sguardo stralunato che si perde nel vuoto, la barba lunga, il corpo quasi costantemente incurvato sotto il peso dell’angoscia (e ciononostante fascinosissimo!): questo è il protagonista di Vincent Van Gogh, l’odore assordante del bianco, lo spettacolo teatrale scritto da Stefano Massini e diretto da Alessandro Maggi, attualmente in cartellone al Manzoni di Milano (fino al 2 dicembre, poi in tournée in tutta Italia).
La pièce scava nel processo creativo dell’artista, ma spinge lo spettatore a interrogarsi anche sul tema della follia.
La tragedia di un pittore che non può dipingere
In un crescendo di inquietudine seguiamo Van Gogh nel manicomio di Saint Paul de Mausole, dove fu internato nel 1889: vive in una stanza bianca e spoglia, in balia di un medico spietato e di inflessibili infermieri, gli è vietato dipingere e supplica il fratello Theo di aiutarlo a uscire da quel luogo in cui non può esprimersi attraverso la sua arte. Perché un pittore si identifica con la sua possibilità di creare. Preziosi tocca corde ora serie, pacate e lucide, ora folli, rabbiose e disperate, muovendosi con grande sensibilità sul confine sempre inafferrabile che separa realtà e sogno, ricordi veri e allucinazioni.
Hai raggiunto un’identificazione profonda con il tuo personaggio…
«Chi mi conosce bene, vedendomi sul palco, mi ha detto: “lì non ci sei più tu”. In effetti sono stato preso da una strana osmosi: davanti ai dipinti di van Gogh al Museo d’Orsay di Parigi mi sono detto: “ma guarda che bei quadri ho fatto” (ride ndr)».
Come ti sei preparato a interpretare il pittore?
«Studiando moltissimo, leggendo le sue lettere, facendo meditazione dinamica per approfondire il rapporto fra corpo e mente. Ho lavorato molto sulla fisicità, sulle posizioni e sui gesti. Ho provato perfino io stesso a dipingere… ma questo resta nella dimensione privata!».
Un grande impegno…
«La recitazione non deve essere solo un esercizio di stile. Io tento di riprodurre la combustione interiore, l’urgenza di dipingere che schiacciava Van Gogh, per raccontare come nasce un’opera d’arte. È il percorso espressivo più maturo che ho affrontato da quando faccio questo lavoro e coincide con una fase della mia vita in cui cercavo qualcosa di più».
Cosa ti ha insegnato Van Gogh?
«Mi ha aiutato a elevarmi a livello umano. E sviscerare il rapporto con il fratello Theo, per me che ho due fratelli, mi ha fatto riflettere su quante volte si perdono occasioni per dimostrarsi l’amore reciproco».
Che cosa hai in comune con il tuo personaggio?
«Vincent e Alessandro si sforzano entrambi di essere uomini, nel senso più pieno del termine».
Dal teatro alla tv: ci anticipi qualche novità?
«L’anno prossimo uscirà su Canale 5 una serie in tre puntate dal titolo Non mentire, sul tema dell’abuso sessuale: una storia intrigante sulla frequente mistificazione che si crea quando la parola della donna si scontra con quella dell’uomo. Ma vedrete tutto a tempo debito».
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