West Side Story: il musical secondo Spielberg
Arriva al cinema il remake di West Side Story, fedele all’originale ma più impegnato. E nonostante lo scetticismo è già un successo
Per Spielberg West Side Story è stato amore a primo ascolto, una di quelle scoperte musicali che diventano presto ossessione.
E una volta cresciuto la voglia di raccontare ancora quella storia si è rivelata più forte del timore reverenziale verso il film di Robert Wise, con cui avrebbe inevitabilmente dovuto confrontarsi.
Un progetto nato dal desiderio di rivisitare il musical con una sensibilità più vicina a quella del pubblico di oggi, disilluso dalla retorica del sogno americano e ancora più attento alle questioni sociopolitiche sorvolate dalla versione del 1961. Se il nuovo West Side Story non rischia di ripetere l’imbarazzante flop di Cats, il merito è anche dello sceneggiatore Tony Kushner, vincitore di un Premio Pulitzer per l’apprezzatissimo Angels in America (1991), e del coreografo Justin Peck, vincitore di un Tony Award (gli Oscar del teatro) per Carousel (2018).
Romeo e Giulietta nell’Upper West Side
In fondo West Side Story non è che un Romeo e Giulietta sotto mentite spoglie, nato a Broadway dalla geniale intuizione di Jerome Robbins, Leonard Bernstein, Stephen Sondheim e Arthur Laurents. A fine anni ’50 l’Upper West Side di Manhattan stava cambiando aspetto, allontanando i residenti storici per favorire la nascita di nuove zone residenziali ricche e bianche. Sulle macerie dei vecchi quartieri, Montecchi e Capuleti sono diventati le bande rivali dei Jets e degli Sharks, i figli degli immigrati polacchi e italiani di classe operaia e i portoricani appena arrivati nella terra delle opportunità, intente a disputarsi un territorio che in realtà hanno già perso.
Nella versione originale questa rivalità non è che lo sfondo per il melodramma di Tony e Maria, a cui basta uno sguardo per mettere da parte ogni conflitto e giurarsi amore eterno con una serenata dal balcone, la celebre Tonight. Peccato che Maria sia la sorella di Bernardo, capo degli Sharks che proprio come Tebaldo farà precipitare gli eventi uccidendo il braccio destro di Tony (Riff, ovvero Mercuzio) e innescando una spirale di vendetta che condurrà al tragico epilogo.
Un omaggio all’America multiculturale
Nel rivisitare la storia, Kushner e Spielberg si sono preoccupati di restituire il giusto spazio al multiculturalismo di New York, scegliendo di non tradurre le parti in spagnolo e facendo scelte di casting più inclusive. Ansel Elgort (Baby Driver, Colpa delle stelle) è Tony, mentre nel ruolo di Maria – all’epoca interpretata da Natalie Wood, non esattamente portoricana – c’è l’esordiente Rachel Zegler. Nei ruoli di Bernardo e Anita ci sono David Alvarez e Ariana De Bose, mentre per Rita Moreno è stato inventato un personaggio nuovo, Valentina.
Le differenze con il primo film
Per ammissione dello stesso Sondheim, recentemente scomparso, ai tempi dell’originale West Side Story coreografie e melodramma hanno preso il sopravvento sul realismo. Nella versione di Kushner invece ogni dettaglio è frutto di dense ricerche storiche, che gli hanno permesso di ampliare la storia di molti personaggi.
Rispetto all’originale la storia fa un salto in avanti, al momento in cui la gentrificazione dei quartieri di Lincoln Square e San Juan Hill è in pieno sviluppo per fare spazio al nuovo e scintillante Lincoln Center. Tony è appena uscito di prigione ed è in libertà vigilata, dettaglio in più che approfondisce le sue rimostranze nel lasciarsi coinvolgere nella guerriglia contro gli Sharks, mentre Maria, che nella prima versione era una Giulietta appena abbozzata, ha piani tutti suoi per il futuro e un carattere più deciso.
Nel ruolo di Doc, proprietario di una drogheria che fa da quartier generale ai Jets, c’è la sua vedova Valentina (Rita Moreno), più neutrale verso il conflitto anche per via delle sue origini portoricane. Nonché più incline a simpatizzare con Tony e Maria, divisi non solo dalla rivalità tra bande ma anche dal razzismo.
Un altro grande cambiamento è il passaggio di Anybodys da maschiaccio a ragazzo trans, interpretato da Iris Menas – nella versione originale si trattava di una particina scritta per un’amica di Robbins, ma in quella di Kushner la sua insistenza nel voler fare parte dei Jets acquista un significato molto più profondo.
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