16/10/2017

La fibrillazione atriale

Secondo le stime, in Italia, circa 700 mila persone presentano una fibrillazione atriale nota. La tendenza è in crescita: negli ultimi 20 anni i ricoveri in ospedale legati a questa malattia sono aumentati del 66%. Le categorie più colpite sono gli ultrasessantenni e le donne.

Di che cosa si tratta

La fibrillazione atriale è una forma di aritmia cardiaca. È un disturbo del ritmo di una parte del cuore (atrio), che invece di battere con regolarità batte in modo scomposto.

In condizioni normali, gli atri e i ventricoli si contraggono regolarmente, mentre in questo caso le contrazioni sono scoordinate, disorganizzate e danno luogo a un battito cardiaco accelerato e irregolare.

Solitamente il ritmo cardiaco, definito sinusale, prevede una media di 60-80 pulsazioni al minuto.

In presenza di fibrillazione atriale la frequenza dei battiti può aumentare fino a 150-200 pulsazioni al minuto.

Tre forme diverse

Gli esperti distinguono tre forme diverse di malattia.

La fibrillazione atriale viene definita parossistica se si verifica un ripristino spontaneo del ritmo cardiaco normale e se gli episodi durano meno di sette giorni, solitamente da uno a due giorni 24/48 ore).

Quando gli episodi di fibrillazione atriale hanno una durata superiore ai sette giorni o non si interrompono in modo spontaneo, ma richiedono un trattamento specifico, si parla di fibrillazione atriale persistente.

Se, nonostante le cure, il disturbo persiste o si osserva un’immediata recidiva dopo il trattamento effettuato, la fibrillazione atriale viene definita permanente.

I fattori di rischio

I meccanismi che causano la fibrillazione non sono del tutto chiari. Si conoscono, però, i principali fattori di rischio:

l’invecchiamento del cuore e del suo sistema elettrico, con il progressivo ingrandimento dell’atrio sinistro, sede del disturbo;

alcune malattie del cuore (come cardiomiopatie, miocardite, cardiopatie congenite, infarto miocardico);

lo stress;

il consumo eccessivo di alcol, caffeina e/o droghe;

la presenza di ipertensione arteriosa, di malattie della tiroide e di malattie polmonari.

I sintomi

Un cuore che fibrilla non riesce a spingere il sangue in circolo come dovrebbe. Di conseguenza, il flusso è discontinuo e gli organi soffrono. Questo disordine provoca sintomi come mancanza di respiro, stanchezza, vertigini, sensazione di cuore che batte in gola e percezione soggettiva di un battito cardiaco irregolare e accelerato.

Non sempre, però, la fibrillazione atriale si fa sentire: in alcuni casi non dà alcun sintomo.

Per questo, è importante, soprattutto se si hanno più di 60 anni (epoca in cui i disturbi del sistema elettrico del cuore possono diventare più frequenti), ascoltare alcune volte al giorno il proprio battito.

Come fare? È sufficiente mettere due dita sul polso sinistro, proprio sotto l’attaccatura del pollice e cercare il battito.

Le conseguenze più serie

La fibrillazione provoca un ristagno del sangue nel cuore, che di conseguenza non riesce a svuotarsi bene a ogni contrazione. Il sangue, così, scorre più lentamente e tende a coagulare e a formare trombi (coaguli) che possono, con il flusso sanguigno, arrivare in altre zone del corpo.

Per esempio possono giungere al cervello, provocando l’ictus cerebrale, ossia la morte di alcune cellule del cervello, ai polmoni, causando l’embolia polmonare, agli organi dell’addome o alle gambe o alle braccia, provocando un’embolia arteriosa periferica con infarto dell’organo colpito.

In particolare, è bene sapere che la fibrillazione atriale rappresenta la causa più frequente di ictus cerebrale cardioembolico.

Le cure

Se si ha la percezione di un battito irregolare e disordinato, è necessario riferirlo al medico. La fibrillazione atriale, una volta diagnostica, può essere trattata.

Innanzitutto, con le cure farmacologiche, che hanno lo scopo di ripristinare il normale ritmo del cuore e di limitare i danni. Si usano farmaci antiaritmici, che rimettono il cuore in ritmo, e farmaci betabloccanti, che regolano la frequenza cardiaca.

In molti casi si opta per la cardioversione elettrica, che ripristina con una scossa il ritmo sinusale del cuore: prevede l’utilizzo di un defribillatore che, attraverso due placche appoggiate al torace della persona, eroga una scarica elettrica che interrompe l’aritmia e fa ripartire il normale ritmo cardiaco.

Infine, in casi selezionati si può effettuare l’ablazione trans catetere: si tratta di una procedura invasiva che prevede una bruciatura vera e propria, tramite cateteri inseriti nel cuore, della zona dalla quale parte l’aritmia.

In ogni caso, si devono sempre usare farmaci anticoagulanti, che fluidificano il sangue e impediscono la formazione di trombi ed emboli.