La misurazione della glicemia
Conoscere la propria glicemia è molto importante. A maggior ragione, in presenza di sintomi che possono essere indice di diabete e nelle persone con un rischio aumentato di sviluppare la malattia, perché hanno famigliari di primo (genitori, fratelli) o secondo (nonni, zii, cugini) grado affetti a loro volta da diabete, sono in soprappeso o obese, sono donne con un pregresso diabete gestazionale o che hanno avuto bambini che pesavano oltre 4,5 chilogrammi alla nascita.
La misurazione della glicemia rappresenta, poi, un elemento fondamentale nei soggetti con diabete già diagnosticato, per capire se le modifiche dello stile di vita e i farmaci prescritti sono efficaci oppure se è necessario cambiare i farmaci o i loro dosaggi.
Il colloquio con il medico di base
In presenza di sintomi sospetti (molta sete, emissione di una grande quantità di urine, perdita di peso senza causa apparente), in seguito a un riscontro di glicemia elevata in controlli di routine o durante accertamenti eseguiti per altri motivi, oppure anche solo in caso di aumentato rischio di diabete, il medico di medicina generale procede in primo luogo con l’anamnesi: un colloquio approfondito con la persona per raccogliere il maggior numero possibile di informazioni sul suo stato di salute, sui sintomi manifestati, sulla storia clinica della famiglia, sullo stile di vita (come dieta e attività fisica).
Il medico può poi prescrivere delle analisi del sangue, la glicemia appunto, ed eventualmente delle urine.
Se la glicemia è alta e sono presenti sintomi specifici oppure se questo valore alto viene confermato da una seconda misurazione di laboratorio, il medico può consigliare un cambiamento dello stile di vita, che rappresenta l’aspetto più importante (anche se purtroppo il più trascurato) per normalizzare la glicemia. Solo se la glicemia è molto alta, il medico può prescrivere fin da subito dei farmaci per abbassarla.
Il cambiamento dello stile di vita (Link) consiste in una maggiore attenzione all’alimentazione, che deve comprendere la giusta quantità di carboidrati, prevalentemente di tipo complesso, privilegiare i cibi a basso indice glicemico ed essere povera in grassi di origine animale (burro, strutto, salumi, formaggi).
Anche incrementare l’attività fisica è molto importante, compatibilmente con l’età e le condizioni della persona.
Quando rivolgersi agli specialisti
Spesso il medico indirizza la persona verso un centro di diabetologia per una valutazione iniziale. Su tutto il territorio italiano, infatti, esistono centri dedicati, dove lavorano medici specialisti (diabetologi o endocrinologi) e personale qualificato (dietisti, infermieri, educatori) per il trattamento del diabete.
Una volta posta la diagnosi di diabete, il centro di diabetologia può offrire un supporto per spiegare la dieta raccomandata, magari con l’aiuto del dietista, insegnare come si misura la glicemia pungendosi il dito (vedi a pag. 30), discutere i possibili effetti collaterali dei farmaci per il diabete.
Solo in casi particolari (bambini, adolescenti o anziani con la glicemia molto alta, disidratazione, nausea, dolori addominali) è necessario l’invio a un Pronto soccorso per il trattamento urgente della glicemia alta.
In genere, i pazienti con diabete di tipo 1, che necessitano sempre di terapia insulinica, sono seguiti dai centri di diabetologia pediatrici o dell’adulto: in questo modo è più facile ottimizzare nel tempo la terapia insulinica con l’obiettivo di avere glicemie il più possibile vicine ai valori normali.
I pazienti con diabete di tipo 2, invece, se la glicemia è ben controllata dal cambiamento dello stile di vita e dai farmaci eventualmente prescritti, sono seguiti quasi sempre dal medico di medicina generale. Vengono inviati al centro di diabetologia solo quando le glicemie non sono ben controllate oppure per il controllo periodico delle complicanze del diabete.
Le analisi del sangue
L’esame base per la misurazione della glicemia consiste in un semplice prelievo di sangue, effettuato al mattino, dopo almeno otto ore di digiuno, e nella misurazione in laboratorio dei livelli di glucosio.
Se la glicemia è alta e non sono presenti sintomi specifici, si procede con un secondo prelievo nell’arco di pochi giorni per confermare la prima misurazione.
Quando in almeno due misurazioni la glicemia a digiuno è compresa fra 100 e 125 mg/dl si parla di “alterata glicemia a digiuno” o IFG: una condizione di pre-diabete.
Quando in almeno due misurazioni la glicemia è superiore a 125 mg/dl, invece, si può porre la diagnosi di diabete (se ci sono sintomi specifici è sufficiente una misurazione).
Il carico orale di glucosio
Da alcuni anni si è visto che la glicemia a digiuno è un esame accurato e sufficiente per fare la diagnosi di diabete. In passato, invece, la diagnosi di diabete era basata sul test del carico orale di glucosio.
Anche questo esame va eseguito al mattino, dopo un digiuno di almeno otto ore. Si svolge in tre fasi: per prima cosa si esegue un prelievo di sangue per misurare la glicemia a digiuno, quindi si invita la persona a bere 75 grammi di glucosio sciolti in un bicchiere d’acqua, infine, due ore dopo la somministrazione della soluzione, si procede con un nuovo prelievo e una nuova misurazione della glicemia. Dopo il primo prelievo (detto basale) occorre rimanere seduti, senza mangiare, bere e fumare, fino alla fine del test.
Se la glicemia misurata due ore dopo il carico orale di glucosio è compresa tra 140 e 199 mg/dl, si parla di ridotta tolleranza al glucosio o Igt. Anche l’Igt è considerata una condizione di pre-diabete.
Se la glicemia due ore dopo carico orale di glucosio è 200 mg/dl o più allora si pone la diagnosi di diabete.
Solo in casi particolari
Oggi il carico orale di glucosio viene prescritto solo in casi particolari.
– Nelle donne incinte a rischio di sviluppare il diabete gestazionale (cioè con una delle seguenti caratteristiche: età 35 anni o più, familiarità di primo grado per diabete di tipo 2, obesità, provenienza da Paesi con alta prevalenza di diabete di tipo 2, diabete gestazionale in una gravidanza precedente) alla 24-26esima settimana di gravidanza (vedi capitolo 7 a pag. 47). In questi casi, oltre al prelievo basale e a 120 minuti dopo, viene anche fatto un prelievo a 60 minuti, sempre dopo aver bevuto lo zucchero. I valori normali in gravidanza a digiuno (basale) devono essere inferiori a 92 mg/dl; a 60 minuti a 180 mg/dl e a 120 minuti a 153 mg/dl.
– Nelle persone con aumentato rischio di diabete, ma senza sintomi (ovvero persone con alterata glicemia a digiuno, famigliarità per diabete, obesità o donne che hanno avuto il diabete gestazionale in passato).
– Nelle persone con patologia cardiovascolare dove il diabete, se non adeguatamente curato, potrebbe peggiorare la prognosi. Per esempio, soggetti che hanno una coronaropatia ischemica, ossia coronarie danneggiate dall’aterosclerosi, potrebbero avere un più rapido avanzamento della malattia coronaria in caso di diabete non curato.
Le analisi delle urine
Per avere un quadro più completo della situazione, il medico può prescrivere anche le analisi delle urine, che forniscono indicazioni sul tasso di glicemia delle ore precedenti la raccolta del campione (le urine non vengono prodotte al momento, ma sono il risultato di un processo più lungo).
In condizioni normali, le urine non contengono glucosio. Infatti, se la glicemia è entro la soglia limite (intorno a 180 mg/dl), lo zucchero filtrato dai reni viene completamente riassorbito prima che l’urina lasci il rene per arrivare nella vescica.
Se, invece, la glicemia è molto alta, il rene non riesce a riassorbire tutto lo zucchero filtrato e quello in eccesso viene eliminato con le urine.
Una curiosità: i medici dei secoli scorsi, che non avevano la possibilità di fare esami di laboratorio, “assaggiavano” le urine del malato per verificare la presenza di zucchero e fare la diagnosi di diabete.
La chetonuria
Quando la glicemia capillare è superiore a 250 mg/dl, i pazienti con diabete di tipo 1 dovrebbero controllare anche la chetonuria, cioè la concentrazione nelle urine dei chetoni (o corpi chetonici).
Si tratta di sostanze che sono prodotte quando l’organismo usa le proteine per produrre energia e che sono eliminati, in parte, proprio con le urine.
Nel diabete di tipo 1 la presenza di chetoni nelle urine è importante perché indice di insufficiente attività insulinica (per esempio, perché il paziente si è dimenticato una somministrazione di insulina o perché il suo microinfusore non funziona o, ancora, perché le glicemie si sono alzate molto per errori alimentari o processi infettivi).
Nei pazienti con diabete di tipo 2 non trattati con insulina, invece, l’accumulo di chetoni nel sangue è meno frequente perché, a differenza di quanto succede nel diabete di tipo 1, c’è una secrezione insulinica residua che limita la produzione di queste sostanze.
La chetonuria andrebbe misurata anche se la donna con diabete di tipo 1 è in gravidanza e la glicemia capillare è superiore a 200 mg/dl.
Per misurare la concentrazione di chetoni si possono eseguire le analisi delle urine in laboratorio oppure utilizzare i kit domiciliari.
Ogni quanto ripetere i controlli
La misurazione della glicemia di laboratorio è indispensabile per la diagnosi di diabete. È importante sapere che i glucometri che i pazienti con diabete usano per misurarsi la glicemia non possono essere utilizzati per fare la diagnosi di diabete.
All’inizio del percorso di valutazione, la misurazione della glicemia viene integrata con le analisi delle urine e il test orale di glucosio.
Se tutto è nella norma, il medico suggerirà la frequenza più opportuna di un successivo controllo, in base al rischio che la persona ha di avere il diabete.
Se, invece, viene posta una diagnosi di diabete questi esami vanno ripetuti a intervalli regolari. Anche in questo caso sarà il medico a stabilire la frequenza più adatta al caso specifico.
L’emoglobina glicata o Hba1c
Nelle persone con diabete sospetto o conclamato, solitamente, si misura anche l’emoglobina glicata o HbA1c. Il prelievo per misurare l’emoglobina glicata può essere effettuato in qualsiasi momento della giornata. L’assunzione del cibo non modifica, infatti, i risultati del test.
L’emoglobina è la proteina che si trova all’interno dei globuli rossi, particelle corpuscolate presenti nel sangue, e che consente di trasportare l’ossigeno in tutto l’organismo.
L’emoglobina tende ad “addolcirsi”, cioè a essere maggiormente “glicata”, se rimane a lungo a contatto con elevate concentrazioni di glucosio. Più il tasso di glucosio presente nel sangue è elevato e duraturo, più l’emoglobina lega a sé lo zucchero.
Il valore dell’emoglobina glicata esprime l’andamento medio dei valori della glicemia nei tre-quattro mesi precedenti. Misurandola, dunque, si può valutare il controllo glicemico nel medio termine (questo esame, dunque, è indipendente da un eventuale errore alimentare commesso la sera che precede il prelievo).
Questa misurazione è molto affidabile e precisa perché permette di avere un quadro completo – e non solamente occasionale – dei comportamenti della glicemia nei tre-quattro mesi precedenti al test. Le ultime linee guida dell’American Diabetes Association le attribuiscono un “peso” nella diagnosi pari a quello del test da carico di glucosio.
Anche in questo caso, se non ci sono sintomi specifici per diabete, il valore deve essere confermato da una seconda misurazione (la diagnosi richiede una conferma con una seconda misura dell’HbA1c o il riscontro di una glicemia maggiore di 125 mg/dl a digiuno).
A che cosa serve
La misurazione dell’emoglobina glicata rappresenta uno strumento ideale per capire che cosa accade davvero nell’organismo fra una misurazione della glicemia e l’altra.
Per questo non è utile solo per la diagnosi di diabete, ma anche e soprattutto per verificare se la malattia è sotto controllo e se le cure prescritte e le modificazioni dello stile di vita sono efficaci o meno.
La percentuale di emoglobina glicata rilevata grazie all’analisi del sangue è proporzionale alla concentrazione di glucosio osservata nell’arco delle settimane precedenti.
Se l’emoglobina glicata è alta, perciò, significa che la persona ha la glicemia alta già da diverse settimane, probabilmente da molti mesi. Bisogna, quindi, correre subito ai ripari: più la condizione di iperglicemia è prolungata, maggiori sono i danni potenziali.
I valori corretti
In condizioni normali i valori dell’emoglobina glicata sono compresi tra il 4 e il 6% (tra 20 e 42 mmol/mol ossia millimole per mole).
Quando raggiungono il 6.5% (47 mmol/mol) si pone la diagnosi di diabete. Una persona con il diabete, infatti, ha un’emoglobina glicata superiore alla norma e tende ad avere livelli più elevati se la patologia non è adeguatamente controllata.
Nei soggetti che hanno una diagnosi di diabete e sono in cura, idealmente l’emoglobina glicata deve essere pari o inferiore al 6,5% secondo l’International Diabetes Federation (IDF) e pari o inferiore al 7% (53 mmol/mol) secondo l’American Diabetes Association (ADA).
Non bisogna, però, essere troppo rigidi nel considerare queste soglie. Ciascuno deve cercare di ottenere il miglior valore di HbA1c possibile in base al proprio rischio di ipoglicemia, all’età, alle condizioni di salute generali e alla sua aspettativa di vita.
Per esempio, nel bambino o nell’adolescente con diabete di tipo 1 un valore di 7,5% è buono: soglie troppo basse potrebbero esporre a ipoglicemie molto frequenti.
Anche un anziano con più di 65 anni e con un diabete in fase avanzata, che ha già sviluppato complicanze, può puntare a valori di emoglobina glicata meno rigidi, pari al 7,5-8%.
Una donna con il diabete che vuole programmare una gravidanza o che è già in attesa deve invece tendere a un obiettivo glicemico più stretto, ovvero a valori inferiori a 7.0% al momento del concepimento e inferiori a 6.0% durante la gravidanza. Questo per ridurre al massimo i rischi per sé e per il bambino.
Quando va misurata
Il test dell’emoglobina glicata viene effettuato sempre al momento della diagnosi, per avere un quadro più preciso della situazione. Successivamente va ripetuto a intervalli regolari.
Durante i primi mesi successivi alla diagnosi, se la glicemia è molto alta, lo specialista può consigliare una frequenza ravvicinata (ogni due-tre mesi), così da valutare se le terapie intraprese sono efficaci.
La misurazione dell’HbA1c ogni sei mesi è considerata corrente pratica clinica nella valutazione del controllo metabolico nel paziente diabetico e un valido riferimento per l’aggiustamento della terapia, per mantenere il miglior controllo glicemico possibile ed evitare le complicanze croniche della malattia diabetica.
Una frequenza maggiore (quattro volte l’anno) è indicata nei pazienti con compenso precario o instabile o nei quali sia stata modificata da poco la terapia.
Il test può essere fatto nei centri di diabetologia prelevando una goccia di sangue capillare dal dito (come si fa per la glicemia capillare) oppure su un campione di sangue venoso (prelievo dal braccio).
Altri esami di controllo
Nei pazienti con diabete si dovrebbero richiedere anche altri accertamenti come:
– il profilo lipidico (per documentare un’eventuale ipercolesterolemia o ipertrigliceridemia),
– gli esami della funzione renale (creatinina, microalbuminuria),
– l’uricemia (ovvero i livelli di acido urico nel sangue, un altro fattore di rischio cardiovascolare),
– l’esame del fondo dell’occhio (per escludere una retinopatia diabetica),
– l’elettrocardiogramma a riposo e, se necessario, da sforzo (per valutare un’eventuale cardiopatia ischemica),
– il doppler dei tronchi sovraortici e delle arterie degli arti inferiori (per escludere eventuali stenosi),
– l’ispezione e la valutazione della sensibilità a livello dei piedi.
Gli esami relativi alle complicanze del diabete vengono prescritti all’esordio nel diabete di tipo 2 perché in questo tipo di diabete l’iperglicemia può essere presente anche per anni senza essere diagnosticata.
Nel diabete di tipo 1 sarà il medico a stabilire quando effettuarli.
L’autocontrollo domiciliare
Nelle persone che hanno il diabete è importante controllare frequentemente i valori della glicemia per intervenire con tempestività in caso di problemi. Ecco perché, oltre agli esami di laboratorio, è utilissimo anche l’autocontrollo domiciliare della glicemia.
Il più prezioso è quello della glicemia capillare, che permette al diabetico di sorvegliare autonomamente l’andamento della sua condizione, monitorando in diversi momenti della giornata (come prima e dopo i pasti) il proprio metabolismo e assicurandosi che non ci siano squilibri o anomalie.
Ormai in commercio si trovano vari dispositivi, chiamati glucometri, che consentono di misurare la glicemia da soli, in modo pratico e veloce.
Si tratta di veri e propri kit fai da te, acquistabili in farmacia, che contengono: aghi, strisce reattive e glucometro. Basta pungersi un dito con l’apposito ago e raccogliere con la striscia reattiva, già inserita nello strumento, una goccia di sangue. Il glucometro fornisce la concentrazione di glucosio nel sangue al momento della rilevazione in pochi secondi.
La maggior parte degli strumenti registra anche il valore della glicemia misurata e la data e ora della misurazione, oltre a fornire la possibilità di inserire note su quanto si è mangiato o se la misurazione è stata fatta prima o dopo un pasto.
Più volte al giorno
L’automonitoraggio è indispensabile nei pazienti trattati con insulina (tutti i pazienti con diabete di tipo 1 e alcuni pazienti con diabete si tipo 2), perché, in relazione ai valori di glucosio, permette di regolare le dosi di farmaco da assumere prima dei pasti e anche l’introduzione di cibo, aumentandone o diminuendone le quantità e variandone la qualità.
Ovviamente, il soggetto deve prima essere educato in questo senso dall’équipe che lo ha in cura.
Chi è in trattamento con insulina deve misurare la glicemia almeno quattro-sei volte al giorno: prima e dopo ogni pasto, prima di ogni somministrazione di insulina e prima di andare a dormire.
Per le donne diabetiche in stato interessante, per i diabetici con problemi renali e per i pazienti con frequenti ipoglicemie o limitata capacità di riconoscere l’ipoglicemia può essere consigliabile misurare la glicemia anche più di frequente.