Solitudine: come affrontarla e superarla
Non bisogna sentirsi in colpa: non è un fallimento nè un segno di immaturità ma una condizione abbastanza comune. Da affrontare riscoprendo gli altri, ad esempio attraverso il volontariato
Sentirsi soli, almeno una volta nella vita, è un’esperienza piuttosto comune. A differenza della solitudine desiderata, ovvero la piccola vacanza dagli obblighi sociali che ci prendiamo quando sentiamo il bisogno di ricaricare le batterie, la solitudine subita è spesso dolorosa.
La sensazione di non avere nessuno con cui confidarsi o di non avere il supporto delle persone vicine può avere ripercussioni anche serie sulla salute, eppure non è del tutto negativa.
Se interpretata nel modo giusto, può essere uno stimolo a cambiare le nostre abitudini di vita in meglio.
A cosa serve la solitudine
La sensazione di malessere che associamo alla solitudine potrebbe avere una sua utilità, almeno da un punto di vista evolutivo. Il neuroscienziato John Cacioppo, autore di questa teoria, riteneva che la solitudine fosse un campanello d’allarme, esattamente come la fame o la sete. La selezione naturale premia la collaborazione e il profondo dispiacere che si prova quando ci si sente isolati ha lo scopo di motivarci a cercare una maggiore coesione con le persone che abbiamo accanto. Questo perché molti comportamenti pessimi per il gruppo – come l’egoismo o l’avidità – sono effettivamente gratificanti per l’individuo. Se essere rifiutati dagli altri non fosse doloroso, non ci importerebbe così tanto della loro opinione e non saremmo altrettanto motivati nel fare compromessi. Per questo l’evoluzione ci ha dotato di un meccanismo di allerta che ci ricorda che isolarci troppo è un rischio per la nostra sopravvivenza.
Sentirsi soli fa male davvero
Se la solitudine è così diffusa, è perché la nostra routine quotidiana è molto diversa da quella dei nostri antenati. I nuclei familiari sono diventati sempre più piccoli e la necessità di ricominciare da capo in un posto nuovo, per esigenze di studio o di lavoro, rende più difficile poter contare sulla rete di sostegno costituita da famiglia, amici e vicini. Con le nuove tecnologie l’impressione è quella di non essere mai davvero da soli, ma le occasioni di incontro faccia a faccia si sono drasticamente ridotte. Il risultato è che chi è meno predisposto ad una vita solitaria tende ad ammalarsi di più: diversi studi dimostrano che l’aumento dei livelli di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress, può interferire con il sistema immunitario e con quello cardiovascolare, accrescere ansia e depressione e avere effetti deleteri paragonabili a quelli del fumo, del consumo di alcol o dell’obesità. Ecco perché il segnale d’allerta della solitudine non va sottovalutato né sminuito.
Piccoli passi per guarire
Provare imbarazzo o vergogna quando ci si sente soli è una reazione comune. Liberarsi dal senso di colpa è il primo passo per stare meglio: la solitudine non è un fallimento né un segno di immaturità, solo il segnale che abbiamo bisogno di recuperare il contatto con gli altri. Per questo è importante evitare il circolo vizioso tipico di chi si sente sottotono: dire sempre di no agli inviti e smettere di rispondere ai messaggi – fino ad arrivare al vero e proprio ghosting – è un segnale di chiusura che alla lunga respinge anche i più tenaci. Nella vita adulta però dedicare del tempo agli amici può diventare un’impresa e non è raro che si perdano i contatti. Per chi si trova in questa situazione, un recente articolo pubblicato su Scientific American mette al primo posto nelle strategie anti-solitudine il volontariato. Oltre ad offrire l’opportunità di fare nuove amicizie, dedicare del tempo agli altri aiuta a sentirsi di nuovo utili e importanti, il che è fondamentale per sentirsi di nuovo a proprio agio con sé stessi.
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