Sindrome del Bianconiglio: quando il tempo non basta mai
La Fase 2 è appena cominciata e abbiamo già la sensazione di essere in ritardissimo? Basta ansia: cerchiamo di affrontare la ripartenza imparando a distinguere le priorità
Giunti alla ripartenza c’è chi inizia a sentire le prime avvisaglie di sindrome del Bianconiglio. Il ritorno ai ritmi frenetici pre-lockdown, in cui il tempo sembrava già essere troppo poco, può scatenare la preoccupazione di dover accelerare ulteriormente per compensare i mesi a casa.
Chi si stava adattando alla nuova routine ora guarda il calendario con un misto di orrore e fascinazione, rimproverandosi per non aver ottimizzato ogni briciola di tempo libero prima della Fase 2.
Un atteggiamento che forse vale la pena di lasciarsi indietro, ripartendo con uno spirito completamente diverso.
L’eresia del tempo sprecato
La tecnologia ha velocizzato tanti aspetti della nostra quotidianità, regalandoci di fatto del tempo in più. Se sembra non bastare mai è perché abbiamo sviluppato nei suoi confronti una sorta di horror vacui, convincendoci che il tempo possa avanzare solo a chi non è abbastanza bravo a riempirlo. Va detto, come fa notare lo scrittore Matt Haig in Vita su un pianeta nervoso (Edizioni e/o), che nessuno ha mai trovato una pittura rupestre del Neolitico raffigurante un uomo in preda allo stress perché non ha sentito la sveglia. Questo perché, prima di essere sminuzzate in ore e minuti, le nostre giornate erano scandite secondo una diversa percezione del tempo. Anticamente, scrive Haig, c’erano il tempo dei pasti e quello della caccia, quello di combattere e quello per rilassarsi, quello per giocare e quello per baciarsi. Nessuno di questi tempi era legato alle innumerevoli suddivisioni del quadrante di un orologio. Forse l’umanità ha sempre avuto l’abitudine di alzarsi alle sette del mattino, ma oggi ci svegliamo perché sono le sette del mattino. E se sono le 7:20, sappiamo di aver già iniziato la giornata in terribile, terribile ritardo.
Ripartire già stanchi
Non è solo colpa degli orologi se abbiamo la sensazione che il tempo sia in costante esaurimento. Anche secondo il sociologo tedesco Hartmut Rosa il mondo in cui viviamo è effettivamente più nervoso, perché il ritmo con cui tutto si rinnova è diventato così veloce da farci sentire costantemente indietro. Basta un attimo di distrazione per diventare obsoleti, sia nelle abitudini che nelle competenze. Un principio che abbiamo interiorizzato a tal punto da non riuscire a fermarci nemmeno quando siamo costretti dalle circostanze. La prova? Chi è passato allo smartworking si è accorto che a casa si lavora anche di più, incastrando riunioni a orari improbabili e rassegnandosi a veder traboccare gli impegni. Alla stanchezza si aggiunge il dubbio di essersi lasciati sfuggire ottime occasioni, in una sfumatura particolarmente crudele di FOMO (cioè “fear of missing out”, paura di essersi persi qualcosa). Attraverso la piccola finestra sul mondo dei social, gli altri sembrano sempre un passo avanti: positivi, produttivi, all’altezza di ogni situazione. Alimentando quindi la sensazione di essere tagliati fuori da esperienze che rendono la vita più piena, fosse anche aver imparato a fare il pane in casa.
Il piacere di rallentare
Per mettere a tacere il nostro Bianconiglio interiore e la sua ansia di essere in arciritardissimo non ci resta che riscoprire il piacere di rallentare. Sapersi dare le giuste priorità è importante, il che include riconoscere l’importanza dei tempi vuoti. Non tutte le ore che abbiamo a disposizione sono destinate a spuntare caselline in un’infinita lista di cose da fare, in cui persino il riposo occupa degli spazi delimitati e obbligati. Rinunciare ogni tanto all’efficienza può aiutare a costruire una relazione più sana con il mondo e con gli altri, imparando a non identificarsi troppo con le attività svolte durante la giornata.
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