11/08/2022

Sesso: si può essere dipendenti?

Veronica Colella Pubblicato il 11/08/2022 Aggiornato il 11/08/2022

Il confine tra una vita sessuale sana e una problematica va tracciato con cautela. Non è una questione di quantità, ma di serenità

Shot of an affectionate young couple kissing in bed

La dipendenza dal sesso viene spesso citata nei divorzi delle celebrities o dai tabloid che commentano i loro eccessi, veri o presunti. C’è chi ne parla con assoluto candore, come Jada Pinkett Smith, e chi si vocifera abbia passato qualche mese in riabilitazione presso cliniche private, come David Duchovny.

Ma al di là delle rubriche di gossip, tracciare il confine tra una vita sessuale attiva ma sana e una problematica non è affatto così semplice.

Ne abbiamo parlato con la dottoressa Azzurra Carrozzo, psicoterapeuta e sessuologa a Lecce nonché divulgatrice con il progetto Sessuologia 3.0.

Una questione soggettiva

Come sempre, il diavolo è nei dettagli. Non tutte le persone che hanno una forte carica sessuale sono dipendenti dal sesso, né esiste un consenso unanime tra esperti sui criteri che permettono di distinguere una sessualità intensa o vivace da una vera e propria dipendenza. Nemmeno nel caso dei traditori o delle traditrici seriali è possibile dare nulla per scontato, anche se sarebbe consolante attribuire parte della responsabilità a cause di forza maggiore.

«Sebbene il DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) non riconosca la diagnosi di “dipendenza dal sesso”, è chiaro da moltissimi anni che il carattere di dipendenza crea una sintomatologia simile a tanti altri casi di abuso di sostanze, così da poterla riconoscere e definire in terapia e da poterla trattare come “sex addiction”» chiarisce la dottoressa Carrozzo. «Chiaramente una dipendenza rappresenta un problema non facilissimo da risolvere con la sola forza di volontà ma sappiamo anche che il tradimento è, nella maggior parte dei casi, una scelta, e che troppo facilmente si ricorre ad autodiagnosi per cercare di sfuggire dalle proprie responsabilità».

Quantità e qualità

Del resto, è molto difficile tracciare una soglia di “normalità” oltre la quale parlare di dipendenza, almeno in termini di quantità. La frequenza di sogni a occhi aperti, pensieri maliziosi e comportamenti, presa da sola, non è un indicatore affidabile. Senza contare che nella vita di una persona ritmi e desideri possono variare a seconda delle circostanze, complicando ulteriormente il quadro.

«Questo è il limite per la diagnosi: non esiste un numero fisso di volte in cui si fa sesso – o si ricorre alla masturbazione, alla visione di pornografia, al sesso online o al sesso con prostitute, tutte varianti di dipendenza sessuale – che ci permette di distinguere nettamente i casi di dipendenza, ma è necessaria la presenza di criteri diagnostici precisi. Per esempio, l’utilizzo di un dato comportamento come strategia per evitare stati emotivi spiacevoli, la ricerca del comportamento più a lungo di quanto sia nelle reali intenzioni, il tentativo infruttuoso di ridurlo, l’impatto negativo sulla vita sociale, lavorativa o scolastica della persona. Di base, la dipendenza non dà serenità».

Rivedere la questione in termini di qualità della vita è quindi più corretto, tanto più che le dipendenze si riconoscono anche dai danni collaterali. «Chi è realmente dipendente non riesce a fare a meno di comportarsi in un certo modo e la conseguenza principale è che si finisce per togliere tempo alle altre attività che danno valore alla propria vita, siano essere sociali o intellettuali, di svago o lavorative, familiari o affettive. Questo sbilanciamento può andare a pesare gravemente sulla qualità di vita della persona, sul suo benessere relazionale e psichico, traducendosi in una serie di problemi come ansia, depressione, isolamento sociale, vergogna, indifferenza verso le relazioni e disfunzioni sessuali» prosegue la sessuologa.

Come si affronta

Se il rapporto con il sesso inizia a diventare complicato, rivolgersi a un terapeuta può essere d’aiuto. Non tutti però si sentono a loro agio nel farlo, in particolare quando la dipendenza maschera un disagio più profondo. «Molto spesso il dipendente non si rivolge ad alcun professionista, perché la dipendenza è al tempo stesso disfunzionale e funzionale: da un lato compromette il benessere, dall’altro copre altri stati di malessere e così facendo svolge un ruolo chiave nella vita dell’individuo» spiega la dottoressa Carrozzo. «Ecco perché nella maggior parte dei casi chi cerca aiuto in terapia lo fa perché esortato da un familiare o da un partner, oppure dopo essersi reso conto che la propria vita sta subendo perdite importanti sul piano affettivo o addirittura economico. La psicoterapia è l’occasione per concentrarsi su eventi, emozioni e pensieri che innescano i comportamenti su cui si sente di non avere controllo e in questo la psicoterapia cognitivo-comportamentale si è rivelata una delle opzioni terapeutiche più efficaci» conclude l’esperta.