Rabbia, disappunto, frustrazione? Non reprimerti: esprimi quello che senti
Le donne fanno più fatica perché vengono educate a reprimere i sentimenti negativi. Ma accettarli e comunicarli in modo civile ma inequivocabile dà energia, scarica l'ansia, fa trovare nuove soluzioni
Il fatto che molto spesso le donne facciano più fatica a riconoscere la rabbia e ad esprimerla potrebbe non essere solo una questione caratteriale. Reagire alla rabbia con le lacrime, il senso di colpa, l’insicurezza o l’ansia di controllo è un modo di esprimere questo sentimento in forme più accettabili, ma questo ci fa perdere di vista la sua funzione positiva.
Questione di educazione
Non è un mistero che durante l’infanzia bambini e bambine vengano cresciuti secondo gli schemi di comportamento ritenuti più appropriati rispetto al loro genere. Il diverso atteggiamento riservato a femminucce e maschietti incoraggia i secondi ad esprimere liberamente rabbia e aggressività, mentre alle prime viene insegnato che la loro rabbia è sgradevole, irrazionale e – suprema minaccia – rende più brutte. La rabbia femminile è storicamente associata alla follia e all’isteria, oppure a un’eccessiva rigidità che rende le donne arrabbiate meno simpatiche e meno attraenti delle donne che sanno affrontare ogni situazione con un sorriso. Così, per non essere considerate esagerate o ipersensibili, molte bambine imparano a deviare questo sentimento verso l’interno e a tenere strettamente sotto il controllo le loro espressioni e loro gestualità.
Controllarsi sì, ma senza reprimere
Un primo passo per imparare a vivere in maniera più serena la propria rabbia è smettere di ignorarla. Il che non vuol dire iniziare improvvisamente ad essere incivili, ma semplicemente ad accettare questo sentimento e a non considerarlo solo negativo. Imparare a comunicare la propria rabbia in modo che venga presa sul serio da chi ci circonda è possibile solo se ci si affida al suo lato costruttivo. La rabbia può motivare a uscire da situazioni svantaggiose, a darsi degli obiettivi e a elaborare strategie: dipende tutto da come scegliamo di utilizzarla. L’importante è non avere paura del risentimento che mostreranno gli altri quando smetteremo di essere concilianti e inizieremo a manifestare anche questa emozione.
La mindfulness della rabbia
Perché la rabbia sia sana, raccomanda Soraya Chemaly in La rabbia ti fa bella (Harper Collins Italia, 2019), bisognerebbe evitare di catastrofizzare e ruminare, due atteggiamenti che tendono a cristallizzare il sentimento in una rabbia corrosiva, che non porta da nessuna parte. Elaborare e accettare i propri sentimenti invece permette di sviluppare un distacco liberatorio che aiuta a trovare soluzioni. La rabbia può essere una fonte di informazioni e di energia, concetto ribadito anche dalla psicoanalista junghiana Clarissa Pinkola Estés in Donne che corrono coi lupi (Frassinelli): il ciclo della collera monta, cala, muore e si libera sotto forma di energia nuova, creativa, purché si accetti di trasformarla in altro e non ci si aggrappi come ad un mantra.
Distinguere fra le tre A
Un altro passo importante, secondo Chemaly, è riuscire a distinguere comportamenti simili tra loro, che hanno in comune la capacità di dire di no. Un conto è quindi essere arrabbiate, un altro essere assertive oppure aggressive. L’assertività è una qualità che dovremmo essere incoraggiate a coltivare molto più della compiacenza, non solo perché è una forma di comunicazione diretta molto efficace. Essere assertive, precisa l’autrice, permette di aumentare la resilienza emotiva e diminuisce il rischio di ansia e depressione, diventando un gesto di cura verso sé stesse. Quanto all’aggressività, non c’è ragione per non trovarle un posto nella gamma di comportamenti da attuare in base al contesto. Anche se è caratterizzata da una conflittualità più aperta e meno civile, in molti casi può essere modulata in maniera rispettosa ma inequivocabile.
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