Precrastinazione: essere in anticipo non sempre è un bene
Essere in anticipo non sempre è un bene. Spesso significa che non si è in grado di darsi le giuste priorità
Rimandare gli impegni sarà anche una cattiva abitudine, ma sbaglia anche chi cerca di portarsi troppo avanti. A spiegarlo è David Rosenbaum, docente di psicologia all’Università della California, Riverside, che ha coniato il termine “precrastinazione” per indicare l’eccesso di coscienziosità di chi non si ferma un attimo, sbrigando tutte le faccende in tempo record e vivendo sempre con un occhio al futuro.
Il rischio è di sprecare troppe energie in compiti senza importanza, a scapito di precisione e riflessione.
Questione di carattere? Sì e no
Allo stesso modo in cui non tutti i procrastinatori somigliano alla cicala della favola di Esopo, non si può dire che tutti i precrastinatori siano formichine industriose. Ci sono alcuni tratti caratteriali che accomunano i precrastinatori cronici, come la voglia di compiacere gli altri e il senso di responsabilità che impedisce loro di delegare, ma da un punto di vista evolutivo si tratta di un impulso universale. La tendenza a “cogliere il frutto che pende dal ramo più basso”, come dicono gli economisti, è radicata nella nostra natura. Significa dare la precedenza ai compiti più facili o alle soluzioni più rapide, anche se non è davvero conveniente. Quando abbiamo scadenze da rispettare, poi, è molto difficile ignorarle. I compiti più triviali tendono ad avere la precedenza anche su quelli complessi e importanti, come suggerisce un altro studio condotto alla Johns Hopkins University nel 2018.
Ridurre il carico mentale
Il vantaggio immediato della precrastinazione è il sollievo. Avere meno cose a cui pensare fa sentire meglio, perché anche ricordare è fatica. Il carico mentale degli impegni, delle scadenze e delle responsabilità, che intasano la nostra memoria di lavoro, può essere alleggerito giocando costantemente d’anticipo, come chi inizia a preoccuparsi ad agosto di cosa farà a Capodanno. Non è detto che questo metodo garantisca meno sforzi in assoluto: gli esperimenti del secchio, su cui Rosenbaum e colleghi hanno testato la loro ipotesi, hanno suggerito che spesso si tende a farsi carico di uno sforzo fisico maggiore pur di togliersi un’incombenza nel minor tempo possibile. Un esempio? Immaginate di percorrere un vicolo dove sono posizionati due secchi vuoti, uno più vicino a voi e l’altro più lontano. Alla richiesta di scegliere quale trasportare fino alla fine della strada, la maggior parte delle persone punterebbe al primo secchio perché è a portata di mano, anche se sarebbe più logico scegliere il secondo.
Non sempre è la scelta più intelligente
La fretta è una cattiva consigliera. Il problema di chi precrastina è che non riesce a darsi le giuste priorità, disperdendo le sue energie pur di rimboccarsi le maniche, e si rende spesso e volentieri vulnerabile agli errori dettati dall’emotività. La nostra prima risposta, come la nostra prima idea, potrebbe non essere quella giusta. I sentimenti possono offuscare la nostra lucidità, ad esempio facendoci rispondere in maniera secca e sbrigativa a e-mail in cui leggiamo un tono che, a mente fredda, potrebbe non sembrarci così sgarbato. Oppure, quando decidiamo che compilare un report pieno di errori pur di consegnarlo prima di mezzogiorno sia più importante che dedicarci a un progetto da cui dipende la nostra promozione. Per essere davvero efficienti, consiglia Rosenbaum, è meglio combattere la mentalità della fretta e della produttività solo apparente dei maniaci del multitasking, concedendosi tutto il tempo che serve per decisioni ponderate.
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