Gioco di squadra: perché conviene
Dimostrare a tutti i costi di essere competenti non è sempre una buona strategia. Quando si tratta di lavorare in team conta anche la capacità di essere amichevoli e affidabili
Nel mettere in luce le nostre qualità davanti a datori di lavoro e colleghi tendiamo a sovrastimare l’importanza delle competenze.
Al momento di decidere chi farà parte di un team non contano solo le intuizioni brillanti o il bagaglio di conoscenze ma anche le cosiddette soft skill, come la capacità di lavorare insieme agli altri senza creare attriti.
A suggerirlo è un recente studio americano pubblicato sulla rivista accademica Journal of Management.
Capitale umano e capitale sociale
Per valutare i criteri che influenzano questo genere di decisione, i ricercatori hanno osservato da vicino una coorte di studenti di Economia. Nella prima fase dello studio le classi sono state suddivise in gruppi di studio temporanei, formati dai docenti all’inizio del semestre. Dopo questi primi sei mesi gli studenti hanno riavuto voce in capitolo sulla composizione dei gruppi, liberi di scegliere chi includere ma invitati a condividere con i ricercatori i loro criteri di valutazione.
La parte più interessante, ai fini dello studio, era capire quali strategie avrebbero utilizzato gli studenti per assicurarsi di avere ancora un posto nel gruppo a fine semestre.
Ogni potenziale membro del gruppo porta con sé un capitale umano, ovvero l’insieme di abilità e competenze acquisite, e un capitale sociale, espresso nella capacità di fare rete e creare legami con gli altri. In entrambi i casi si tratta di un valore aggiunto, in grado di influenzare l’inclusione o l’esclusione dal gruppo in vista di progetti futuri.
Questione di voce
Per guadagnare punti in base alle proprie competenze gli studenti hanno utilizzato quella che i ricercatori definiscono “voce della sfida”: un modo di comunicare con gli altri che mette in discussione lo status quo, ponendo l’accento sulla propria efficienza e sulla capacità di tirare fuori dal cappello nuove idee. Quando invece si vuole arricchire il proprio capitale sociale si usa una strategia diversa, ovvero la “voce solidale”: un modo di relazionarsi che ispira fiducia e contribuisce alla creazione di un clima amichevole all’interno del gruppo, rafforzandone la coesione e dimostrando di essere compagni piacevoli con cui affrontare la buona e la cattiva sorte.
Minore il conflitto, migliore la vita
Naturalmente la persone che sono riuscite a dimostrarsi sia competenti che affidabili hanno avuto la precedenza assoluta, ma la performance non è tutto. Essere bravissimi non conta poi molto se si è persone difficili da gestire, perché lavorare in gruppo significa spesso lavorare in sinergia. Da questo punto di vista, chi è capace di mettere gli altri a proprio agio potrebbe rivelarsi una risorsa più preziosa rispetto a una primadonna. Ed ecco perché quando si è trattato di formare i team le pure competenze sono passate in secondo piano rispetto alle considerazioni sui legami creati nei primi sei mesi di lavoro, portando in leggero vantaggio i membri amichevoli e degni di fiducia.
I risultati dello studio sembrano quindi suggerire che, quando si tratta di crearsi una reputazione, ricordarsi di utilizzare di tanto in tanto anche la voce solidale non guasta. Un invito ancora più prezioso in una fase delle nostre vite lavorative in cui i rapporti con i colleghi sono ridotti a videochiamate e frenetici scambi di e-mail, rendendo più difficile sentirsi davvero parte di un team.
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