16/05/2022

E tu porti rancore?

Veronica Colella Pubblicato il 16/05/2022 Aggiornato il 16/05/2022

Se la risposta è sì, sei in buona compagnia. A causare il nostro risentimento sono, nell'ordine, gli amici, le istituzioni e i colleghi. Solo quarti gli ex

Thoughtful woman in the park

L’indulgenza non sembra far parte del nostro carattere nazionale. Non solo quando subiamo un torto abbiamo la tendenza a legarcelo al dito, ma il 40% degli italiani è abituato a non mettere in conto l’impatto che i propri rancori hanno sugli altri.

A rivelarlo è una ricerca della piattaforma di recensioni online Trustpilot, utilizzato da utenti di tutto il mondo per scambiare pareri su servizi e prodotti. L’indagine è parte della campagna Helping Hands della piattaforma, il cui obiettivo è ricordare sia ai consumatori che ai portavoce delle aziende che ogni tanto sarebbe meglio fare un bel respiro prima di discutere online.

Lo studio ha coinvolto un campione di 12.000 maggiorenni provenienti da diversi paesi – Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Paesi Bassi e Francia – mettendo in luce interessanti differenze con i nostri cugini francesi e inglesi.

Le cause principali

I dati parlano chiaro, l’89% del campione italiano nutre almeno uno o due risentimenti di qualche natura. E non si tratta solo di un paio di contenziosi tra vicini o di frecciatine da restituire all’ex: il 60% dei rancorosi ammette di alimentarne fino a 20, mentre il 29% anche più di 20.

In questa lista della spesa dei risentimenti spicca il tradimento (34% dei casi).

Seguono la convinzione “di essere stati accusati di qualcosa che non si è commesso” (33%), dalla delusione legata “all’essersi fidati di qualcuno che in realtà ha agito alle proprie spalle” (33%), dalla sensazione di “essere vittima di qualcuno che si è preso un merito al proprio posto” (26%) e dal rimpianto di aver “prestato a qualcuno soldi e oggetti che non sono mai stati restituiti” (22%).

Poi c’è il rancore derivante dalle brutte esperienze: “essere derisi per il proprio aspetto fisico” (21%), “essere stati presi in giro o ridicolizzati da bambini” (20%), “essere stati delusi da un’azienda che non ha mantenuto le sue promesse” (17%) e infine “essere stati trattati con scortesia da un venditore” (16%).

I principali colpevoli? Nel 21% dei casi sono gli amici, poi le Pubbliche Istituzioni (19%) e i colleghi di lavoro (17%). A sorpresa gli ex-partner sono solo al quarto posto in questa classifica, seguiti dagli ex-migliori amici (15%), dai vicini di casa (14%) e in ultimo dalle aziende che hanno deluso con il loro operato (13%).

Delusi e stressati

Non che siano motivazioni irragionevoli, ma tenere stretto il rancore ha un costo alto in termini di benessere. In media gli adulti italiani nutrono circa 15 rancori, più del doppio rispetto alla media del 7 di inglesi e francesi, e il periodo più lungo in cui hanno serbato rancore è di quasi 4 anni.

Il risultato è che quasi la metà degli intervistati ha dichiarato di aver perso la fiducia nei confronti degli altri e il 47% ha ammesso di avere avuto problemi di salute mentale come risultato diretto dei rancori nutriti. Sarà anche per questo che il 40% si dichiara pentito, mostrando almeno di saper fare autocritica.

L’opinione generale è che la maggior parte dei propri connazionali non perdoni abbastanza, soprattutto negli ultimi tempi: il 50% degli intervistati ritiene sia colpa di un aumento della frustrazione che porta alcune persone a attaccare gli altri, per il 45% è una conseguenza diretta del Covid e della relativa crisi mentre il 39% crede che ci sia stato un peggioramento da quando i contatti faccia a faccia sono limitati e si tende a comunicare soprattutto online. In tema di autocritica, un terzo del campione ha ammesso di essere più impulsivo quando pubblica messaggi, commenti o recensioni su internet rispetto a quanto farebbe di persona.

Quando la colpa è delle aziende

Sì, ce n’è anche per il mondo del business. Il 79% degli italiani si dice attento all’impatto che il proprio risentimento potrebbe avere sulle performance di un’azienda, segno che inizia a esserci più consapevolezza sugli effetti a catena delle recensioni utilizzate come forma di sfogo. Solo il 12% del campione ha dichiarato di aver pubblicato una recensione negativa online su un’azienda, un prodotto o un servizio per poi pentirsene in seguito. Il 50% poi ha ammesso di essersi ammorbidito nei casi in cui l’azienda ha fatto il possibile per rimediare all’errore. Ed ecco che il 54% del campione si dichiara possibilista sull’eventualità di perdonare e dimenticare.