Cybercondria: fare troppe ricerche online sulla propria salute fa male
Curiosare nel web alla ricerca di risposte e rassicurazioni sul proprio stato di salute è molto comune, ma bisogna stare attenti a non esagerare. Altrimenti si rischia di alimentare ansia e sfiducia
In qualche misura lo facciamo tutti. C’è chi in preda a un feroce mal di stomaco passa in rassegna ogni possibile colpevole secondo le infografiche trovate sui social, dal terzo caffè al colpo di freddo, o chi finisce nel tunnel delle ricerche online dopo aver notato strane macchioline pruriginose in qualche punto del corpo.
Affidarsi al web per togliersi dubbi e cercare rassicurazioni sul proprio stato di salute ha certamente la sua utilità, ma non sempre sappiamo interpretare correttamente le informazioni, anche quando sono fornite da fonti affidabili e sicure.
Gli specialisti hanno coniato un nuovo termine per indicare quella sfumatura di ipocondria alimentata dal ricorso eccessivo al “dottor Google”: chi esagera con le ricerche tende alla cybercondria, ottenendo spesso l’effetto opposto a quello desiderato.
Se era meglio non sapere
Perché non chiamare direttamente il medico di famiglia? A volte internet è semplicemente più comodo, vuoi perché offre l’illusione dell’anonimato per i sintomi più imbarazzanti (tolta la miriade di aziende senza volto a cui confessiamo i nostri peggiori segreti), vuoi perché i sintomi del malessere sembrano così vaghi o banali che non sembra il caso di disturbare un dottore… salvo poi farsi prendere dal panico leggendo di rare malattie genetiche, sindromi dal nome impronunciabile e tumori fulminanti.
E per chi tende alla cybercondria il panico non è affatto un deterrente, anzi. Insieme all’ansia cresce anche il bisogno di cercare ulteriori informazioni, uno schema di comportamento che potrebbe, alla lunga, minare la fiducia nel proprio medico o nello specialista a cui ci si rivolge per l’ennesimo controllo. Lo racconta un recente studio pubblicato sul Journal of Psychiatric Research, alla ricerca dei fattori predittivi di questa tendenza.
Chi è più vulnerabile
Chi soffre di cybercondria non si accontenta di un secondo parere, né di un quarto. Le ricerche iniziano a diventare un chiodo fisso a scapito di altre attività o interessi, portando via sempre più tempo. E il bisogno di essere rassicurati spinge in alcuni casi a sottoporsi a esami invasivi, costosi e non sempre necessari, finendo magari per prendere le distanze da dottori e studi medici quando i tentativi di rassicurazione o le spiegazioni alternative fornite da uno o più professionisti non vengono giudicate soddisfacenti.
Secondo quest’ultimo studio non sono solamente i classici ipocondriaci a cadere in questo circolo vizioso di ansia e ricerche ossessive, né chi soffre di ansia generalizzata. Piuttosto sembra che contribuiscano diversi fattori, tra cui rientra l’ansia specifica nei confronti della propria salute, l’avversione paralizzante per l’incertezza, il disturbo da sintomi somatici e il disturbo ossessivo-compulsivo. Meno probabile che capiti a chi soffre di depressione maggiore, precisano i ricercatori, forse perché più prono a un atteggiamento di rassegnazione e passività poco compatibile con ricerche febbrili e compulsive.
Come affrontarla
Difficile fornire una soluzione valida per tutti, ma secondo i ricercatori una soluzione promettente è la terapia cognitivo-comportamentale. Una forma di psicoterapia che si è già dimostrata efficace per aiutare chi soffre di ipocondria a riconciliarsi con l’incertezza e l’imprevedibilità della vita, accettando l’idea di non poter tenere tutto sotto controllo e imparando a gestire la paura di non saper affrontare le conseguenze di una malattia, spesso l’aspetto più preoccupante legato alla possibilità di ammalarsi.
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