Falsi ricordi: perché la memoria a volte inganna
In buona fede possiamo confondere in un mix creativo ma ingannevole veri, ricordi, sogni, dettagli inesistenti
La nostra memoria è meno affidabile di quanto pensiamo. Anziché incamerare ogni ricordo come una fotografia esatta, ricostruisce sul momento i frammenti conservati mescolando eventi reali, sogni e inferenze su quello che non riusciamo a recuperare con precisione. Per questo siamo sempre in buona fede anche quando rievochiamo dettagli inventati o alterati e siamo vulnerabili alle distorsioni.
Siamo tutti smemorati?
Se avete più di trent’anni e non riuscite proprio a ricordare com’eravate vestiti il giorno dell’esame di maturità, non allarmatevi. Non solo la ricostruzione degli eventi sarà meno affidabile quanto più è lontana nel tempo, ma quando si tratta di ricordi bisogna mettere in conto fattori come la distrazione e le emozioni.
I dettagli destinati a perdersi per strada più facilmente sono quelli a cui non abbiamo mai prestato attenzione, ma anche l’ansia gioca a sfavore della precisione. In particolare, un evento traumatico o destabilizzante verrà ricordato in maniera meno accurata, rendendo più difficile il lavoro di tribunali e psicoterapeuti. Al di là delle capacità e dell’allenamento individuale, sulla memoria influiscono anche fattori esterni come l’alimentazione, la mancanza di riposo e il carico di stress.
Ricordare a metà
Commettere piccoli scivoloni, come gli errori di attribuzione, è del tutto comune. Può capitare di ricordarsi qualcosa che si è letto o ascoltato, ma non la fonte precisa (un giornale o un sito? La radio o la tv?), oppure attribuire un volto al contesto sbagliato (come quando si sarebbe giurato di aver visto un certo film al cinema insieme ad un’amica, che però quella sera era a casa malata), oppure ancora di scambiare una fantasia con un ricordo. Un esperimento condotto nel 1998 dagli psicologi Lyn Goff e Henry Roediger ha indagato quest’ultimo meccanismo chiedendo ai partecipanti di distinguere quante volte nella prima fase del test avessero effettivamente eseguito un’azione – come rompere uno stuzzicadenti, far rimbalzare una pallina o incrociare le dita – oppure si fossero limitati ad immaginarla o ad ascoltarne la descrizione. I soggetti a cui in una seconda fase era stato chiesto di immaginare azioni che non erano state eseguite la prima volta si sono effettivamente confusi, suggerendo che a distanza di tempo la nostra parte creativa interferisca più di quanto pensiamo.
Creare falsi ricordi
Per testare la suggestionabilità della memoria, la psicologa americana Elizabeth Loftus ha condotto una serie di esperimenti in cui i falsi ricordi vengono suggeriti dai ricercatori.
Se la memoria ha un funzionamento ricostruttivo, anziché meramente riproduttivo, è infatti possibile guidare le testimonianze dei soggetti in modo da suggerire un dettaglio anziché un altro, o addirittura convincere qualcuno di aver vissuto esperienze mai verificate. L’esperimento più famoso è quello condotto insieme a Jacqueline Pickrell nel 1995, che consisteva nel raccontare a 24 partecipanti (tra i 18 e i 53 anni) quattro aneddoti sulla loro infanzia. Tre di questi erano autentici, forniti da amici e parenti dei soggetti, mentre uno era completamente inventato. Questo “pseudoricordo” doveva essere sufficientemente plausibile da confondersi in mezzo agli altri, ma non così sconvolgente da generare reazioni emotive troppo intense. Alla fine dell’esperimento sette partecipanti su 24 hanno effettivamente “ricordato” di essersi persi al centro commerciale all’età di 5 anni e di essere stati soccorsi da un signore anziano tanto gentile. Il ricordo fasullo era più nebuloso ed è stato descritto con meno vocaboli, ma la preoccupazione di Loftus è che non sia così semplice distinguere tra un vero ricordo e la sua impressione, soprattutto in sede legale.
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