Pregiudizi, come si formano (e come liberarsene)
Quando incontriamo per la prima volta una persona tendiamo a fidarci delle impressioni immediate che abbiamo. Senza considerare che potrebbero essere sbagliate (in positivo o in negativo) e portarci a trarre conclusioni errate
Le prime impressioni sono quelle che contano, ma il rischio di cantonata è sempre dietro l’angolo. La nostra percezione non è sempre obbiettiva come vorremmo e qualche volta le nostre impressioni iniziali tingono di rosa o di nero tutte le nostre valutazioni future. Questo accade perché sono viziate da pregiudizi di cui non siamo pienamente coscienti e che possono portarci a trarre le conclusioni sbagliate.
Le impressioni che traggono in inganno: l’effetto Alone
Il termine “effetto Alone” nasce negli anni ’20, quando lo psicologo americano Edward Lee Thorndike cercò di evidenziare quello che a suo parere era un “errore costante” nella valutazione psicologica, ovvero la tendenza a formare un’impressione globale di un individuo (sia essa positiva o negativa) sulla base di una singola qualità, in grado di condizionare la valutazione di tutte le altre caratteristiche.
Per sostenere la sua affermazione, Thorndike fece riferimento ad un esperimento sul personale militare, dove ad un gruppo di ufficiali era stato chiesto di valutare alcuni soldati sulla base di criteri come l’intelligenza, il fisico, le capacità di leadership, la professionalità e il carattere. Curiosamente, dalle schede di valutazione risultava che i soldati più prestanti avevano ricevuto punteggi più alti anche in fatto di intelligenza ed efficienza, come se queste qualità andassero sempre a braccetto.
Accecati dalla bellezza
È possibile che nella nostra mente bello sia anche buono, capace e migliore. Un’associazione di idee esplorata in alcuni studi, come quello di Dion, Berscheid e Walster del 1972, intitolato appunto “What is beautiful is good”. Dal loro esperimento è emerso che non solo alle persone attraenti vengono associate tante altre qualità desiderabili, ma si tende a pensare che nel complesso i belli abbiano vite più soddisfacenti e più di successo. Questo pregiudizio positivo, come ben sappiamo, può essere sfruttato tanto dalle campagne elettorali che dalla pubblicità. Non è però così automatico che la bellezza venga confusa con l’onestà o la bontà: altri studi hanno infatti evidenziato la tendenza opposta. Alcune persone percepiscono la bellezza come una sorta di “trappola”, associandola a vanità, disonestà o all’abilità di manipolare gli altri per ottenere favoritismi.
Presumere ingiustamente il peggio: l’effetto Horn
Se le impressioni positive tendono a circondare una persona di un’aura di “santità”, è vero anche il contrario: da alcune persone ci si aspetta di meno e si tende a condannarle con molta più facilità.
Il pregiudizio negativo può essere frutto di uno stereotipo o derivare da una pessima prima impressione, ma il risultato è sempre lo stesso: è come se a quella persona fossero spuntate due piccole corna appuntite. Questo pregiudizio toglie alla persona colpita il beneficio del dubbio, facendo trascurare eventuali cambiamenti in positivo o qualità nascoste. Per questo nel linguaggio delle risorse umane si è iniziato a parlare di effetto Horn, mettendo in guardia da generalizzazioni affrettate. Nella scuola o sul lavoro può accadere che una cattiva performance crei delle aspettative in negativo, facendo sì che, ad esempio, uno studente ripetente venga percepito come “incapace” o “immaturo” dai suoi insegnanti, o che un ritardatario venga bollato come pigro o poco motivato.
Come liberarsi dai pregiudizi
Le generalizzazioni ci aiutano a semplificare la realtà e a renderla più comprensibile, ma per non rischiare di sbagliarci di grosso è sempre consigliata un po’ di elasticità nei nostri giudizi.
Prima di trarre una conclusione è sempre meglio mettere alla prova i nostri stessi preconcetti, tanto per essere sicuri di non aver tralasciato nulla.
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