Pandemia un anno dopo. Cosa abbiamo imparato
A un anno di distanza dal primo lockdown sappiamo che l’iperattività stanca, che vale la pena ritagliarsi spazi di normalità e che il buon esempio vale più di mille sfuriate
Il primo lockdown ci ha colti impreparati, il secondo ci ha presi per stanchezza. Forse non finirà così presto come speravamo un anno fa, ma almeno abbiamo qualche indicazione in più su come affrontare questa lunga attesa.
Gli studi condotti da psicologi e sociologi offrono qualche spunto per orientarsi in questo secondo anno di pandemia, tra strategie antistress e rassicurazioni sul fatto di non essere i soli a sentirsi sempre fuori fase.
Meglio soddisfatti che impegnati
All’inizio trovare nuove sfide ci è sembrata una buona idea. Chi ha avuto più tempo a disposizione ha cercato di impegnarlo con corsi di lingue, tutorial di cucina e nuove routine di esercizi, mentre per altri il carico di impegni lavorativi e domestici è cresciuto per cause di forza maggiore. Ci siamo detti che tenere mani e cervello occupati era fondamentale per il nostro benessere, ma uno studio australiano pubblicato a gennaio su PLOS One sembra smentire questa prima impressione. Sì, imparare a dipingere o sfornare brioche può essere molto gratificante. Ma quello che ci fa sentire davvero bene è dedicarci a quello che amiamo di più, trovando modi per adattare i nostri hobby alle restrizioni imposte dal lockdown. A conti fatti le alternative virtuali, come il teatro online o gli aperitivi su Zoom, si sono dimostrate un palliativo molto più efficace del tenersi impegnati pur di non pensare.
La gioia del camminare
Quando si tratta di pace interiore, camminare nel verde è sempre un toccasana. E anche se non si ha un parco a disposizione vale comunque la pena di fare una passeggiata imponendosi di non passare tutto il tempo con il viso chino sul cellulare. Lo racconta uno studio pubblicato sul Journal of Happiness Studies, suggerendo che per contrastare gli effetti più nocivi della quarantena – solitudine, tristezza e ansia – è consigliabile concedersi qualche escursione nel mondo esterno. Restrizioni permettendo, dovremmo trovare il modo di bilanciare tutte le ore passate seduti davanti a uno schermo con pause frequenti di aria fresca e sole.
La scimmia vede, la scimmia fa
A quanto pare il più grande incentivo a seguire le norme e le precauzioni non è l’informazione, ma il buon esempio. È quello che afferma un articolo pubblicato sul British Journal of Psychology a cura di ricercatori inglesi, tedeschi, francesi e americani, secondo i quali siamo più propensi a seguire le regole se lo fanno anche i nostri amici più stretti. Da questo punto di vista, l’approccio “individualista” dei paesi occidentali si è dimostrato meno efficace. Non è infatti il richiamo ai principi e alla ragione a influenzare il comportamento, ma la nostra tendenza a seguire il gruppo. Sgridare gli altri sui social quindi non serve a niente, se vogliamo convincere qualcuno a rispettare le regole è meglio assicurarci di essere coerenti.
Il tempo non è mai stato così relativo
Se ogni tanto avete bisogno di controllare il calendario per scoprire che giorno è, niente paura. La distorsione temporale è uno degli effetti psicologici più curiosi della pandemia, dovuto allo stravolgimento della nostra vecchia routine. Un articolo pubblicato su Frontiers in Psychology motiva questo disorientamento sia dal punto di vista fisiologico – vivere nell’ansia aumenta le pulsazioni e fa sembrare i minuti più lunghi – che sociale. Giorni e mesi sono diventati interscambiabili anche perché non più legati a ricorrenze o eventi particolari, se non in maniera simbolica. E poi ci sono la noia e l’esasperazione dell’attesa, una condizione con cui abbiamo dovuto collettivamente fare i conti. Ecco perché nonostante sia passato solo un anno ce ne sentiamo addosso almeno cinque…
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