Il profumo dei ricordi
Ci sono profumi che fanno salire la nostalgia, altri che risvegliano esperienze che sarebbe meglio dimenticare. Qual è il legame tra memoria e olfatto?
Ci sono sere in cui basta sentire il profumo dell’insalata di pomodori o dell’aglio che soffrigge in padella per ritrovarsi improvvisamente nella cucina di nonna, immersi in una dolce nostalgia. Così come può capitare di non pensare al proprio ex per mesi interi, felici e contente di aver ormai superato il lutto da fine relazione, e poi crollare miseramente quando dal nulla si sente una traccia del suo dopobarba.
Non importa quanto tempo sia passato, alcuni ricordi non ci abbandonano mai… soprattutto quando sono legati a un profumo.
La sindrome di Proust
Alla ricerca del tempo perduto è una di quelle opere che tutti amano citare e nessuno ha il coraggio di leggere. Tuttavia, è grazie a Marcel Proust e alle sue petites madeleines che abbiamo le parole per descrivere l’intensità con cui alcuni stimoli sensoriali riescono a riportare alla mente i ricordi, facendo riaffiorare dettagli che sembravano perduti per sempre. Per lo scrittore francese si trattava del ricordo felice delle domeniche passate con la zia a Combray, rievocato da una tazza di tè di tiglio nella quale era rimasta qualche briciola di madeleine. Altre persone potrebbero essere colte dalla “sindrome di Proust” per via di un colore, di una nota, di un sapore o molto più spesso di un profumo. A un secolo di distanza dalle dissertazioni di Proust sulla malinconia, il ruolo di gusto e olfatto nell’elaborazione della memoria ha basi scientifiche oltre che letterarie. In particolare, l’olfatto sembra avere il potere di rendere alcuni ricordi più lucidi e duraturi.
Perché si torna spesso all’infanzia
Esplorando il legame tra profumi e ricordi proprio a partire da Proust, la professoressa Maria Larsson dell’Università di Stoccolma ipotizza che il periodo in cui la memoria ne immagazzina di più è intorno ai 5 anni. Si tratta inoltre di ricordi più carichi di emozione e più vividi rispetto a quelli risvegliati da stimoli verbali o visivi, per i quali il picco della ricettività è intorno ai 20 anni. Da un punto di vista evolutivo, racconta in un articolo pubblicato sul magazine dell’Association of Psychological Science, una possibile spiegazione di questa lunga permanenza dei ricordi collegati agli odori rimanda a una delle funzioni principali dell’olfatto, ovvero aiutarci a riconoscere ciò che è pericoloso mangiare o toccare. Lezioni che sarebbe meglio imparare da piccoli, appunto.
Uomini e topi
In un recente studio dell’Università di Boston pubblicato sulla rivista Learning and Memory, i ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti sui topi per chiarire il ruolo dell’olfatto nella formazione dei ricordi. In questo caso si tratta di ricordi sgradevoli, ovvero della paura legata a piccole scosse elettriche a cui gli animali sono stati sottoposti in laboratorio. Nel frattempo, metà dei topi sono stati esposti a un profumo di mandorla, mentre l’altra metà non ha associato il piccolo shock ad alcun odore. Secondo la teoria del consolidamento dei sistemi, i ricordi vengono elaborati prima dall’ippocampo e poi dalla corteccia prefrontale, perdendo in questo passaggio alcuni dettagli. Osservando l’attività cerebrale dei topi, il primo gruppo ha mostrato un’attivazione dell’ippocampo significativa anche a distanza di 20 giorni, segno che sentire quel profumo durante la scossa ha modificato il processo di consolidamento del ricordo. Per i ricercatori, il risultato rafforza l’ipotesi per cui gli odori presenti alla formazione di un ricordo permettono di conservare dettagli più vividi. Inoltre, apre alla possibilità di nuovi approcci terapeutici per chi associa a un profumo un ricordo traumatico.
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