Vitiligine: le nuove terapie
La ricerca sta individuando trattamenti sempre più mirati e sicuri, dai farmaci JAK inibitori al PRP
Abbiamo imparato a conoscerla, sappiamo da tempo che non è contagiosa, bellissime donne l’hanno esposta sulle passerelle dell’alta moda per sensibilizzare l’opinione pubblica al problema. Eppure ancora oggi la vitiligine è vissuta con grande disagio.
Essendo un disturbo cronico e recidivante, va oltre all’estetica minando il benessere emotivo e psicologico di chi ne soffre.
Non è stata trovata una cura definitiva ma la ricerca medica ha messo via via a disposizione strumenti terapeutici sempre più precisi ed efficaci per migliorare la vita di chi ne soffre.
Le cure topiche
La vitiligine ha un’insorgenza e uno sviluppo imprevedibili. La causa specifica ancora non è nota ma si sa che è coinvolto il sistema immunitario che, non riconoscendoli, attacca e distrugge i melanociti responsabili della produzione della melanina e quindi del colore della pelle. «I trattamenti oggi a disposizione si propongono per la maggior parte di attenuare il contrasto fra cute ipopigmentata e cute sana» spiega il professor Santo Raffaele Mercuri, primario dell’Unità di Dermatologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Sul fronte delle terapie topiche si sono rivelate molto efficaci due molecole, Pimecrolimus e Tacrolimus, alla base della formulazione rispettivamente di una crema e di un unguento. Sono entrambi farmaci immunomodulanti cutanei e lavorano bene sull’infiammazione. L’indicazione terapeutica è per la dermatite atopica ma da tempo vengono utilizzati off-label e con successo per il trattamento della vitiligine. Si applicano la sera, tutti i giorni, per almeno novanta giorni. Un ciclo di tre mesi da ripetere in base alla risposta del paziente alla terapia e all’eventuale ricomparsa delle chiazze».
Novità in arrivo
«L’ultima frontiera è però al momento rappresentata negli Stati Uniti dai Jak inhibitors o inibitori delle Janus kinase, molecole coinvolte nei processi infiammatori del nostro corpo» continua Mercuri. «Come spesso capita, sono stati scoperti per caso. Mentre venivano utilizzati per il trattamento della dermatite atopica, si è visto che i pazienti sottoposti alla terapia si stavano ripigmentando. A questo punto ha preso il via al Medical Center di Boston uno studio clinico incentrato sulla molecola Ruxolitinib, un inibitore dei Jak 1 e 2 con formulazione in crema al 1,5%. Giunti alla fase tre, visti i risultati incoraggianti nella ripigmentazione del viso e del corpo, c’è la possibilità che questa crema possa rappresentare una futura opzione nel trattamento topico dei pazienti con vitiligine, un farmaco efficace e sicuro, con pochi effetti collaterali».
Una terapia rigenerante
Se gli Stati Uniti sono a buon punto nello sviluppo dei Jak inhibitors, l’Italia non è da meno nell’ambito della medicina rigenerativa applicata al trattamento della vitiligine. Una tecnica, già pratica clinica, prevede l’utilizzo del PRP (platelet-rich plasma) che viene infiltrato nelle chiazze di vitiligine «Il PRP, detto anche “plasma ricco di piastrine”, è un concentrato che si ottiene da un prelievo di sangue effettuato direttamente al paziente che viene poi centrifugato con appositi macchinari perché arrivi a contenere un numero di piastrine fino a sette volte superiore rispetto al sangue normale» spiega il professor Mercuri. «Il PRP rilascia sostanze che promuovono la riparazione dei tessuti e stimolano la maturazione cellulare. In particolare noi siamo stati pionieri nell’utilizzo del PRP arricchito in monociti, che hanno la stessa capacita rigenerativa delle cellule staminali e sono quindi in grado di favorire lo sviluppo dei melanociti nelle sedi in cui sono mancanti».
L’articolo completo è sul numero di Silhouette donna di settembre, ora in edicola.
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