OSSIGENO COMPR 200BAR 30LT VAL
58,40 €
Prezzo indicativo
Data ultimo aggiornamento: 26/05/2022
Trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta e cronica. Trattamento in anestesia, in terapia intensiva, in camera iperbarica.
Principio attivo: Ossigeno 100%.
Controindicazioni
- In condizioni normobariche non esistono controindicazioni assolute.
In condizioni iperbariche, il trattamento è controindicato in caso di: • enfisema bolloso • asma evolutivo • pneumotorace, anamnesi pregressa di pneumotorace • BPCO • polmonite da Pneumocystic carinii • stato di male epilettico • claustrofobia • gravidanza normoevolvente (primo trimestre) per patologie non acute • infezioni delle alte vie respiratorie • ipertermia • sferocitosi ereditaria • neurite del nervo ottico • tumori maligni • acidosi • somministrazione concomitante di alcuni farmaci quali doxorubicina, bleomicina, steroidi, disulfiram, e di sostanze quali alcool, idrocarburi aromatici, cisplatino, nicotina • infanti prematuri Posologia
- L’ossigeno (compresso o criogenico) viene somministrato attraverso l’aria inalata, preferibilmente ricorrendo ad apparecchi dedicati (quali, per esempio, un catetere nasale o una maschera facciale); il dosaggio al paziente viene effettuato indipendentemente dalla confezione del gas medicinale tramite apparecchi dosatori (flussometri).
Con questi sistemi, l’ossigeno viene somministrato attraverso l’aria inspirata, mentre il gas espirato e l’eventuale eccesso di ossigeno lasciano il circuito inspiratorio del paziente mescolandosi con l’aria circostante (sistema aperto o anti–rebreathing).
In anestesia è spesso utilizzato un sistema particolare che permette di inspirare nuovamente il gas precedentemente espirato dal paziente (sistema chiuso o rebreathing).
L’ossigeno può anche essere somministrato direttamente nel sangue attraverso un ossigenatore, con un sistema di by–pass cardiopolmonare in cardiochirurgia ed in altri casi in cui è richiesta la circolazione extracorporea.
Esistono numerosi dispositivi destinati alla somministrazione dell’ossigeno, e si distinguono in: • Sistemi a basso flusso È il sistema più semplice per la somministrazione di una miscela di ossigeno nell’aria inspirata, un esempio è il sistema in cui l’ossigeno è somministrato tramite un flussometro collegato ad un catetere nasale o maschera facciale.
• Sistemi ad alto flusso Sistemi progettati per fornire al paziente una miscela di gas garantendone il fabbisogno respiratorio totale.
Questi sistemi sono progettati per rilasciare concentrazioni stabilite e costanti di ossigeno che non vengono influenzate/diluite dall’aria circostante, un esempio sono le maschere di Venturi dove, stabilito il flusso di ossigeno, l’aria inspirata dal paziente viene arricchita di quella concentrazione costante di ossigeno.
• Sistemi con valvola a richiesta Sistemi progettati per erogare ossigeno al 100% senza entrare in contatto con l’aria ambiente.
È destinato per breve tempo, solo per necessità.
• Ossigenoterapia iperbarica L’ossigenoterapia iperbarica viene effettuata in una speciale camera pressurizzata progettata appositamente in cui si può mantenere una pressione di 3 volte superiore a quella atmosferica.
L’ossigenoterapia iperbarica può anche essere somministrata attraverso una maschera a perfetta tenuta, un casco o un tubo endotracheale.
Ossigenoterapia normobarica Per ossigeno terapia normobarica si intende la somministrazione di una miscela gassosa più ricca in ossigeno di quella dell’ aria atmosferica, contenente cioè una percentuale in ossigeno nell’aria ispirata (FiO2) superiore al 21%, ad una pressione parziale compresa tra 0,21 e 1 atmosfera (0,213 – 1,013 bar).
Ai pazienti non affetti da insufficienza respiratoria, l’ossigeno può essere somministrato con ventilazione spontanea mediante cannule nasali, sonde nasofaringee o maschere idonee.
Ai pazienti con insufficienza respiratoria o anestetizzati, l’ossigeno deve essere somministrato in ventilazione assistita.
Le bombole di ossigeno hanno all’interno una pressione di circa 124–200 bar.
L’elevata pressione viene regolata da un riduttore ed è rilevabile sul manometro.
Moltiplicando la cifra indicata dal manometro per il contenuto in litri della bombola si ottiene la quantità di ossigeno ancora disponibile nella bombola.
(Esempio: Calcolo del contenuto: una bombola ha un contenuto di 10 litri e il manometro segna 200 bar ne risulta un contenuto di 2000 litri di ossigeno: con un consumo di 2 litri al minuto la bombola sarà vuota dopo 16 ore circa).
Con ventilazione spontanea Pazienti con insufficienza respiratoria cronica: somministrare ossigeno ad un flusso tra 0,5 e 2 litri/minuto, adattabile in base alla gasometria.
Pazienti con insufficienza respiratoria acuta: somministrare ossigeno ad un flusso tra 0,5 e 15 litri/minuto, adattabile in base alla gasometria.
Con ventilazione assistita La concentrazione minima di FiO2 è il 21%, e può salire fino al 100%.
Lo scopo terapeutico dell’ossigenoterapia è quello di assicurare che la pressione parziale arteriosa dell’ossigeno (PaO2) non sia inferiore a 8 KPa (60 mmHg) o che l’emoglobina saturata di ossigeno nel sangue arterioso non sia inferiore al 90% mediante la regolazione della frazione di ossigeno inspirato (FiO2).
La dose deve essere adattata in base alle esigenze individuali del singolo paziente.
La raccomandazione generale è quella di utilizzare la dose minima di FiO2 necessaria per raggiungere l’effetto terapeutico desiderato, ovvero valori di PaO2 entro la norma.
In condizioni di grave ipossemia, possono essere indicati anche valori di FiO2 che comportano un potenziale rischio di intossicazione da ossigeno.
È necessario un monitoraggio continuo della terapia ed una valutazione costante dell’effetto terapeutico, attraverso la misurazione dei livelli della PaO2 o in alternativa, della saturazione di ossigeno arterioso (SpO2).
Nell’ossigenoterapia a breve termine, la frazione di ossigeno inspirato (FiO2) deve essere tale da mantenere una pressione arteriosa parziale di PaO2 > 8 KPa con o senza pressione di fine espirazione positiva (PEEP) o pressione positiva continua (CPAP), evitando possibilmente valori di FiO2 > 0,6 ovvero del 60% di ossigeno nella miscela di gas inalato.
L’ossigenoterapia a breve termine deve essere monitorata con ripetute misurazioni del gas nel sangue arterioso (PaO2) o mediante ossimetria transcutanea che fornisce un valore numerico della saturazione di emoglobina con l’ossigeno (SpO2).
In ogni caso, questi indici sono solamente misurazioni indirette dell’ossigenazione tissutale.
La valutazione clinica del trattamento riveste la massima importanza.
Per trattamenti a lungo termine, il fabbisogno di ossigeno supplementare deve essere determinato dai valori del gas stesso misurati nel sangue arterioso.
Per evitare eccessivi accumuli di anidride carbonica deve essere monitorato l’ossigeno nel sangue, così da regolare l’ossigenoterapia in pazienti con ipercapnia.
Devono essere usati bassi livelli di concentrazione dell’ossigeno nei pazienti con insufficienza respiratoria in cui lo stimolo per la respirazione è rappresentato dall’ipossia (per esempio a causa di BPCO).
La concentrazione di ossigeno nell’aria inalata non deve superare il 28%; in alcuni pazienti persino il 24% può essere eccessivo.
Se l’ossigeno è miscelato con altri gas, la sua concentrazione nella miscela di gas inalato deve essere mantenuta almeno al 21%.
In pratica, si tende a non scendere al di sotto del 30%.
Ove necessario, la frazione di ossigeno inalato può essere aumentata fino al 100%.
I neonati possono ricevere il 100% di ossigeno quando necessario.
Tuttavia deve essere fatto un attento monitoraggio durante il trattamento.
Si raccomanda comunque di evitare una concentrazione di ossigeno eccedente il 40% per ridurre il rischio di danno al cristallino o di collasso polmonare.
La pressione di ossigeno nel sangue arterioso (PaO2) deve essere monitorata, tuttavia se viene mantenuta sotto i 13,3 KPa (100 mmHg) e sono evitate significative variazioni nell’ossigenazione, il rischio di danno oculare è ridotto.
Inoltre, il rischio di danno oculare può essere ridotto evitando fluttuazioni notevoli della ossigenazione (vedere anche par.
4.4).
Ossigenoterapia iperbarica Per ossigenoterapia iperbarica si intende un trattamento con 100% di ossigeno a pressioni di 1.4 volte superiori alla pressione atmosferica a livello del mare (1 atm = 101,3 KPa = 760 mmHg).
Per ragioni di sicurezza la pressione nell’ossigenoterapia iperbarica non dovrebbe superare le 3 atm.
L’ossigeno deve essere somministrato in camera iperbarica.
La durata delle sedute in una camera iperbarica a una pressione da 2 a 3 atmosfere (vale a dire tra il 2026 e 3039 bar) è tra 60 minuti e 4–6 ore.
Queste sessioni possono essere ripetute da 2 a 4 volte al giorno, in funzione dello stato clinico del paziente.
La compressione e la decompressione dovrebbero essere condotte lentamente in accordo con le procedure adottate comunemente, in modo da evitare il rischio di danno pressorio (barotrauma) a carico delle cavità anatomiche contenenti aria e in comunicazioni con l’esterno.
L’ossigenoterapia iperbarica deve essere effettuata da personale qualificato per questo trattamento. Avvertenze e precauzioni
- L’ossigeno deve essere somministrato con cautela, con aggiustamenti in funzione delle esigenze del singolo paziente.
Deve essere somministrata la dose più bassa che permette di mantenere la pressione a 8 kPa (60 mmHg).
Concentrazioni più elevate devono essere somministrate per il periodo più breve possibile, monitorando frequentemente i valori dell’emogasanalisi.
L’ossigeno può essere somministrato in sicurezza alle seguenti concentrazioni e per i seguenti periodi di tempo: Fino a 100% meno di 6 ore 60–70% 24 ore 40–50% nel corso del secondo periodo di 24 ore.
L’ossigeno è potenzialmente tossico dopo due giorni a concentrazioni superiori al 40%.
Concentrazioni basse di ossigeno devono essere usate per pazienti con insufficienza respiratoria in cui lo stimolo per la respirazione è rappresentato dall’ipossia.
In questi casi è necessario monitorare attentamente il trattamento, misurando la tensione arteriosa di ossigeno (PaO2), o tramite pulsometria (saturazione arteriosa di ossigeno – SpO2) e valutazioni cliniche.
La somministrazione di ossigeno a pazienti affetti da insufficienza respiratoria indotta da farmaci (oppioidi, barbiturici) o da bronco–pneumopatie croniche–ostruttive (BPCO) potrebbe aggravare ulteriormente l’insufficienza respiratoria a causa dell’ipercapnia costituita dall’elevata concentrazione nel sangue (plasma) di anidride carbonica, che annulla gli effetti sui recettori.
Nei neonati a termine e nei prematuri, la somministrazione di ossigeno superiore al 30–40% genera effetti indesiderati quali fibroplasia retrolentale, malattie polmonari croniche, emorragie intraventricolari.
Vi è infatti una insufficiente produzione degli enzimi antiossidanti endogeni, quindi vi è una impossibilità nel contrastare la produzione e gli effetti tossici dei composti reattivi dell’ossigeno.
In questi casi deve essere somministrata la più bassa concentrazione di ossigeno efficace e la pressione arteriosa di ossigeno deve essere monitorata da vicino e deve essere mantenuta al di sotto di 13,3 kPa (100 mmHg).
Le concentrazioni elevate di ossigeno nell’aria o nel gas inalato determinano la caduta della concentrazione e della pressione di azoto.
Questo riduce anche la concentrazione di azoto nei tessuti e nei polmoni (alveoli).
Se l’ossigeno viene assorbito nel sangue attraverso gli alveoli più velocemente di quanto venga fornito attraverso la ventilazione, gli alveoli possono collassare (atelectasia).
Questo può ostacolare l’ossigenazione del sangue arterioso, perchè non avvengono scambi gassosi nonostante la perfusione.
Nei pazienti con una ridotta sensibilità alla pressione dell’anidride carbonica nel sangue arterioso, gli elevati livelli di ossigeno possono causare ritenzione di anidride carbonica.
In casi estremi, questo può portare a narcosi da anidride carbonica.
La somministrazione di ossigeno in camere iperbarica deve essere attentamente valutata in funzione del rapporto rischio/beneficio, in caso di: • otiti e/o sinusiti recidivanti • patologie cardiache ischemiche e/o congestizie • ipertensione arteriosa non trattata farmacologicamente • patologie polmonari restrittive e/o restrittive di grado elevato • glaucoma, distacco di retina anche se trattato chirurgicamente (manovre di compensazione) Pazienti affetti da diabete mellito La terapia iperbarica può interferire nel metabolismo del glucosio.
Gli effetti vaso costrittivi della terapia iperbarica possono inoltre compromettere l’assorbimento sottocutaneo dell’insulina, rendendo il paziente ipoglicemico.
SICUREZZA (vedere anche par.
6.6) È importante ricordare che l’ossigeno è un comburente e pertanto alimenta la combustione.
In presenza di sostanze combustibili quali i grassi (oli, lubrificanti), e le sostanze organiche (tessuti, legno, carta, materie plastiche, ecc.) l’ossigeno, può, spontaneamente, per effetto di un innesco (scintilla, fiamma libera, fonte di accensione), oppure per effetto della compressione adiabatica che può accadere durante una riduzione repentina della pressione del gas attivare una combustione.
Di conseguenza, tutte le sostanze con i quali l’ossigeno viene in contatto devono essere classificate come sostanze compatibili con il prodotto nelle normali condizioni di utilizzo.
• Qualsiasi sistema o contenitore per l’erogazione dell’ossigeno deve essere tenuto lontano da fonti di calore a causa dell’infiammabilità dell’ossigeno: vanno quindi prese le dovute precauzioni in merito sia in ambiente ospedaliero che domestico in presenza di ossigeno terapeutico.
• L’ossigeno può scatenare l’improvviso incendio di materiali incandescenti o di braci; per questo motivo non è permesso fumare o tenere fiamme accese libere e non schermate in prossimità dei recipienti.
• Non fumare nell’ambiente in cui si pratica ossigenoterapia.
• Non disporre bombole o contenitori in prossimità di fonti di calore.
• Non deve essere utilizzata alcuna attrezzatura elettrica che può emettere scintille nelle vicinanze dei pazienti che ricevono ossigeno.
• È assolutamente vietato intervenire in alcun modo sulle apparecchiature di erogazione ed i relativi accessori o componenti (OLIO E GRASSI POSSONO PRENDERE FUOCO A CONTATTO CON L’OSSIGENO).
• Deve essere evitato qualsiasi contatto con olio, grasso o altri idrocarburi.
• È assolutamente vietato manipolare le apparecchiature o i componenti con le mani o gli abiti o il viso sporchi di grasso olio creme ed unguenti vari.
Non usare creme e rossetti grassi • L’ossigeno a volte può saturare gli abiti.
• È assolutamente vietato toccare le parti congelate (per i criocontenitori).
• Le bombole ed i contenitori criogenici mobili non possono essere usati se vi sono danni evidenti o si sospetta che siano stati danneggiati o siano stati esposti a temperature estreme.
• Possono essere usate solo apparecchiature adatte per il modello specifico di recipiente e per il gas.
• Non si possono usare pinze o altri utensili per aprire o chiudere la valvola della bombola, al fine di prevenire il rischio di danni.
• Non bisogna modificare la forma del contenitore.
• In caso di perdita, la valvola della bombola deve essere chiusa immediatamente, se si può farlo in sicurezza.
Se la valvola non può essere chiusa, la bombola deve essere portata in un posto più sicuro all’aperto per permettere all’ossigeno di fuoriuscire.
• Le valvole delle bombole vuote devono essere chiuse.
• L’ossigeno ha un forte effetto ossidante e può reagire violentemente con sostanze organiche.
Questo è il motivo per cui la manipolazione e la conservazione dei recipienti richiedono particolari precauzioni.
• Non è permesso far defluire il gas sotto pressione. Interazioni
- L’ossigeno non deve essere somministrato in concomitanza della somministrazione di farmaci che ne aumentano la tossicità, come catecolamine (ad es.
epinefrina, norepinefrina), corticosteroidi (ad es.
decametasone, metilprednisolone), ormoni (ad es.
testosterone, tiroxina), chemioterapici (bleomicina, ciclofosfammide, 1,3–bis (2–chloroethyl)–1–nitrosourea) ed antibiotici (ad es.
nitrofurantoina).
I raggi X possono aumentare la tossicità dell’ossigeno.
Anche l’ipertiroidismo e la mancanza di vitamina C, vitamina E o di glutatione possono produrre lo stesso effetto.
La tossicità polmonare associata con farmaci come bleomicina, actinomicina, amiodarone, nitrofurantoina e antibiotici simili può essere accresciuta dall’inalazione concomitante di alte concentrazioni di ossigeno.
Nei pazienti che sono stati trattati per danno polmonare indotto da radicali liberi, la terapia a base di ossigeno può peggiorare il danno, per esempio nel trattamento dell’avvelenamento da paraquat.
L’ossigeno può anche peggiorare la depressione respiratoria indotta dall’alcool.
Farmaci noti per indurre eventi avversi comprendono: adriamicina, menadione, promazina, clorpromazina, tioridazina e clorochina.
Gli effetti saranno particolarmente pronunciati nei tessuti con livelli elevati di ossigeno, specialmente i polmoni. Effetti indesiderati
- • Nei pazienti con insufficienza respiratoria cronica ipossiemica o ipossiemico–ipercapnica, è possibile l’insorgenza (o il peggioramento) di ipoventilazione alveolare (ipercapnia) con conseguente acidosi, seguente all’induzione di depressione respiratoria dovuta alla soppressione dello stimolo ventilatorio causata dall’effetto del brusco aumento della pressione parziale di ossigeno a livello dei chemorecettori carotidei e aortici.
• La somministrazione di ossigeno a pazienti affetti da depressione respiratoria indotta da farmaci (oppioidi, barbiturici) o da BPCO potrebbe deprimere ulteriormente la ventilazione dato che, in queste condizioni, l’ipercapnia non è più in grado di stimolare i chemorecettori centrali mentre l’ipossia è ancora in grado di stimolare i chemorecettori periferici.
In particolare, nei pazienti con insufficienza respiratoria cronica, è possibile l’insorgenza di apnea da depressione respiratoria legata all’improvvisa soppressione della ventilazione dovuta al brusco aumento della pressione parziale di ossigeno a livello dei chemorecettori carotidei e aortici.
• La somministrazione di ossigeno può causare una lieve riduzione del polso e della gittata cardiaca.
• L’inalazione di forti concentrazioni di ossigeno può dare origine a microatelectasie causate dalla diminuzione dell’azoto negli alveoli e dall’effetto diretto dell’ossigeno sul surfactante alveolare.
• L’inalazione di ossigeno al 100%, può aumentare del 20–30% gli shunt intrapolmonari per atelectasia secondaria alla denitrogenazione delle zone mal ventilate e per ridistribuzione della circolazione polmonare dovuta al conseguente drastico innalzamento della PaO2.
• L’ossigenoterapia iperbarica può dare origine a barotrauma da iper–pressione sulle pareti delle cavità chiuse, come l’orecchio interno, che può comportare il rischio di edema o rottura della membrana timpanica (con dolore ed eventuale emorragia), o dei polmoni, con conseguente rischio di pneumotorace, mal di denti, implosione od esplosione dei denti, flatulenza, dolore da colica.
• L’ossigenoterapia iperbarica oltre i 2 bar può occasionalmente indurre nausea, vomito, capogiro, ansia, confusione, stordimento, midriasi, crampi muscolari, mialgia, abbassamento del livello di coscienza (fino alla perdita di conoscenza), emiplegia e disturbi visivi (anche con perdita della vista) di tipo transitorio e reversibili con la riduzione della pressione parziale di ossigeno, atassia, vertigini, tinnito, perdita dell’udito.
• I pazienti sottoposti ad ossigenoterapia iperbarica possono essere soggetti a crisi di claustrofobia.
• A seguito di ossigenoterapia con una concentrazione di ossigeno del 100% per più di 6 ore, in particolare in somministrazione iperbarica, sono state riferite crisi convulsive ed attacchi epilettici.
• Elevati flussi di ossigeno non umidificato possono produrre secchezza e irritazione delle mucose delle vie aeree (congestione o occlusione dei seni paranasali con dolore e perdita ematica) e degli occhi, così come un rallentamento della clearance muco–ciliare delle secrezioni.
• A seguito della somministrazione di concentrazioni di ossigeno superiori all’80%, possono verificarsi lesioni polmonari.
• Nei neonati, in particolare quelli prematuri, esposti a forti concentrazioni di ossigeno FiO2 > 40%, PaO2 > di 80 mmHg o per periodi prolungati (più di 10 giorni a una FiO2 > 30%), rischio di retinopatia di tipo fibroplastico retrolenticolare temporaneo o permanente.
In tal caso può comportare il distacco della retina e anche cecità permanente, displasia broncopolmonare, sanguinamento subependimale ed intraventricolare, nonchè enterocolite necrotizzante.
• La somministrazione di supplementi di ossigeno modifica la quantità di ossigeno trasportata e ceduta ai vari tessuti.
Un aumento della concentrazione locale di ossigeno, principalmente della frazione disciolta, porta ad un aumento della produzione di specie reattive dell’ossigeno e, di conseguenza, ad un aumento di enzimi antiossidanti o di composti anti–ossidanti endogeni.
• Il potenziale danno ossidativo diretto dell’ossigeno è da valutare nella gestione dei prematuri che possono risentire negativamente ed in modo persistente della perossidazione lipidica a carico delle membrane cellulare.
Tali soggetti, non disponendo ancora di un patrimonio di antiossidanti endogeni ad effetto protettivo, la somministrazione di ossigeno può contribuire allo sviluppo di condizioni patologiche persistenti a carico del parenchima polmonare (displasia broncopolmonare; fibrosi polmonare), fino all’insufficienza respiratoria. Gravidanza e allattamento
- Non ci sono delle controindicazioni per l’uso dell’ossigeno a pressione atmosferica (pressione inferiore a 0,6 atm) in gravidanza o durante l’allattamento con la somministrazione di ossigeno.
L’utilizzo del trattamento iperbarico è controindicato nella gravidanza normoevolvente (primo trimestre) per patologie non acute.
L’utilizzo della terapia iperbarica in gravidanza potrebbe indurre stress ossidativo provocando danni al DNA del feto.
In casi di grave intossicazione da monossido di carbonio il rapporto beneficio/rischio sembra rassicurare verso l’uso della terapia iperbarica. Conservazione
- Osservare tutte le regole pertinenti al maneggiamento delle bombole sotto pressione e dei recipienti contenenti liquidi criogenici.
Conservare le bombole e i recipienti criogenici a temperature comprese tra –10°C e 50°C, in ambienti ben ventilati, oppure in rimesse ben ventilate, evitando la formazione di atmosfere sovraossigenate (O2 > 21% vol.), in posizione verticale con le valvole chiuse e protetti da pioggia e intemperie, dall’esposizione alla luce solare diretta e lontani da fonti di calore o d’ignizione, da materiali combustibili.
I recipienti vuoti o che contengono altri tipi di gas devono essere conservati separatamente.
I contenitori criogenici fissi, installati presso le strutture sanitarie, devono essere collocati all’aperto secondo quanto specificato dalla Circolare 99/1964, in zone confinate e protette, con accessi limitati agli addetti, gestite e mantenute secondo le indicazioni fornite da ciascun Fabbricante.
Si tratta di apparecchiature a pressione e quindi soggette alla Direttiva CE PED.
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