OSSIGENO COMPR 200BAR 1LT
71,76 €
Prezzo indicativo
Data ultimo aggiornamento: 01/12/2010
Trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta e cronica. Trattamento in anestesia, in terapia intensiva, in camera iperbarica.
Principio attivo: Ossigeno 100%
Controindicazioni
- Ossigenoterapia normobarica: non esistono controindicazioni assolute.
Ossigenoterapia iperbarica: • enfisema bolloso • asma evolutiva • pneumotorace, anamnesi pregressa di pneumotorace • bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) • polmonite da Pneumocystis carinii • stato di male epilettico • claustrofobia • gravidanza normoevolvente (primo trimestre) per patologie non acute • infezioni delle alte vie respiratorie • ipertermia • sferocitosi ereditaria • neurite del nervo ottico • tumori maligni • acidosi • somministrazione concomitante di alcuni farmaci quali doxorubicina, adriamicina, bleomicina, daunorubicina, cisplatino, steroidi, disulfiram, e di sostanze quali alcool, idrocarburi aromatici, nicotina • infanti prematuri Posologia
- L’ossigeno (compresso o criogenico) viene somministrato attraverso l’aria inalata, preferibilmente ricorrendo ad apparecchi dedicati (quali, per esempio, una cannula nasale o una maschera facciale); il dosaggio al paziente viene effettuato indipendentemente dalla confezione del gas medicinale tramite apparecchi dosatori (flussometri).
Con questi sistemi, l’ossigeno viene somministrato attraverso l’aria inspirata, mentre il gas espirato e l’eventuale eccesso di ossigeno lasciano il circuito inspiratorio del paziente mescolandosi con l’aria circostante (sistema aperto o anti-rebreathing).
In anestesia è spesso utilizzato un sistema particolare che permette di inspirare nuovamente il gas precedentemente espirato dal paziente (sistema chiuso o rebreathing).
L’ossigeno può anche essere somministrato direttamente nel sangue attraverso un ossigenatore, con un sistema di by-pass cardiopolmonare in cardiochirurgia ed in altri casi in cui è richiesta la circolazione extracorporea.
Esistono numerosi dispositivi destinati alla somministrazione dell’ossigeno, e si distinguono in: Sistemi a basso flusso: è il sistema più semplice per la somministrazione di una miscela di ossigeno nell’aria inspirata, un esempio è il sistema in cui l’ossigeno è somministrato tramite un flussometro collegato ad una cannula nasale o maschera facciale.
Sistemi ad alto flusso: sistemi progettati per fornire al paziente una miscela di gas garantendone il fabbisogno respiratorio totale.
Questi sistemi sono progettati per rilasciare concentrazioni stabilite e costanti di ossigeno che non vengono influenzate/diluite dall’aria circostante, un esempio sono le maschere di Venturi dove, stabilito il flusso di ossigeno, l’aria inspirata dal paziente viene arricchita di quella concentrazione costante di ossigeno.
Sistemi con valvola a richiesta: sistemi progettati per erogare ossigeno al 100% senza entrare in contatto con l’aria ambiente.
È destinato per breve tempo, solo per necessità.
Ossigenoterapia iperbarica: l’ossigenoterapia iperbarica viene effettuata in una speciale camera pressurizzata progettata appositamente in cui si può mantenere una pressione 3 volte superiore a quella atmosferica.
L’ossigenoterapia iperbarica può anche essere somministrata attraverso una maschera a perfetta tenuta, un casco o un tubo endotracheale.
Ossigenoterapia normobarica Per ossigeno terapia normobarica si intende la somministrazione di una miscela gassosa più ricca in ossigeno di quella dell’aria atmosferica, contenente cioè una percentuale in ossigeno nell’aria inspirata (FiO2) superiore al 21%, ad una pressione parziale compresa tra 0,21 e 1 atmosfera (0,213 e 1,013 bar).
Ai pazienti non affetti da insufficienza respiratoria, l’ossigeno può essere somministrato con ventilazione spontanea mediante cannule nasali, sonde nasofaringee o maschere idonee.
Ai pazienti con insufficienza respiratoria o anestetizzati, l’ossigeno deve essere somministrato in ventilazione assistita.
Le bombole di ossigeno hanno all’interno una pressione massima di circa 150-200 bar.
La pressione viene regolata da un riduttore ed è rilevabile sul manometro.
Moltiplicando la cifra indicata dal manometro per la capacità in litri della bombola si ottiene la quantità di ossigeno ancora disponibile nella bombola.
(Esempio: Calcolo approssimato del contenuto: una bombola ha una capacità di 10 litri e il manometro segna 200 bar; ne risulta un contenuto di 2000 litri di ossigeno.
Con un consumo di 2 litri al minuto la bombola sarà vuota dopo 16 ore circa).
Con ventilazione spontanea Pazienti con insufficienza respiratoria cronica: somministrare ossigeno ad un flusso tra 0,5 e 2 litri/minuto, adattabile in base alla gasometria.
Pazienti con insufficienza respiratoria acuta: somministrare ossigeno ad un flusso tra 0,5 e 15 litri/minuto, adattabile in base alla gasometria.
Con ventilazione assistita Il valore minimo di FiO2 è il 21%, e può salire fino al 100%.
Lo scopo terapeutico dell’ossigenoterapia è quello di assicurare che la pressione parziale arteriosa dell’ossigeno (PaO2) non sia inferiore a 8 kPa (60 mmHg) o che l’emoglobina saturata di ossigeno nel sangue arterioso non sia inferiore al 90% mediante la regolazione della frazione di ossigeno inspirato (FiO2).
La dose deve essere adattata in base alle esigenze individuali del singolo paziente.
La raccomandazione generale è quella di utilizzare il valore minimo di FiO2 necessario per raggiungere l’effetto terapeutico desiderato, ovvero valori di PaO2 entro la norma.
In condizioni di grave ipossiemia, possono essere indicati anche valori di FiO2 che comportano un potenziale rischio di intossicazione da ossigeno.
È necessario un monitoraggio continuo della terapia ed una valutazione costante dell’effetto terapeutico, attraverso la misurazione dei livelli della PaO2 o, in alternativa, della saturazione di ossigeno arterioso (SpO2).Nell’ossigenoterapia a breve termine, la frazione di ossigeno inspirato (FiO2) deve essere tale da mantenere un livello di PaO2 > 8 kPa con o senza pressione di fine espirazione positiva (PEEP) o pressione positiva continua (CPAP), evitando possibilmente valori di FiO2> 0,6 ovvero del 60% di ossigeno nella miscela di gas inalato.
L’ossigenoterapia a breve termine deve essere monitorata con ripetute misurazioni del gas nel sangue arterioso (PaO2) o mediante ossimetria transcutanea che fornisce un valore numerico della saturazione di emoglobina con l’ossigeno (SpO2).
In ogni caso, questi indici sono solamente misurazioni indirette dell’ossigenazione tissutale.
La valutazione clinica del trattamento riveste la massima importanza.
Per trattamenti a lungo termine, il fabbisogno di ossigeno supplementare deve essere determinato dai valori del gas stesso misurati nel sangue arterioso.
Per evitare eccessivi accumuli di anidride carbonica deve essere monitorato l’ossigeno nel sangue, così da regolare l’ossigenoterapia in pazienti con ipercapnia.
Devono essere usati bassi livelli di concentrazione dell’ossigeno nei pazienti con insufficienza respiratoria in cui lo stimolo per la respirazione è rappresentato dall’ipossia (per es.
a causa di BPCO).
La concentrazione di ossigeno nell’aria inalata non deve superare il 28%; in alcuni pazienti persino il 24% può essere eccessivo.
Se l’ossigeno è miscelato con altri gas, la sua concentrazione nella miscela di gas inalato deve essere mantenuta almeno al 21%.
In pratica, si tende a non scendere al di sotto del 30%.
Ove necessario, la frazione di ossigeno inalato può essere aumentata fino al 100%.
I neonati possono ricevere il 100% di ossigeno quando necessario.
Tuttavia deve essere fatto un attento monitoraggio durante il trattamento.
Si raccomanda comunque di evitare una concentrazione di ossigeno eccedente il 40% per ridurre il rischio di danno al cristallino o di collasso polmonare.
La pressione di ossigeno nel sangue arterioso (PaO2) deve essere monitorata, tuttavia se viene mantenuta sotto i 13,3 kPa (100 mmHg) e sono evitate significative variazioni nell’ossigenazione, il rischio di danno oculare è ridotto.
Inoltre, il rischio di danno oculare può essere ridotto evitando fluttuazioni notevoli della ossigenazione (vedere anche par.
4.4).
Ossigenoterapia iperbarica Per ossigenoterapia iperbarica si intende un trattamento con 100% di ossigeno a pressioni di 1.4 volte superiori alla pressione atmosferica a livello del mare (1 atm = 101,3 kPa = 760 mmHg).
Per ragioni di sicurezza la pressione nell’ossigenoterapia iperbarica non dovrebbe superare le 3 atm.
L’ ossigeno deve essere somministrato in camera iperbarica.
La durata delle sedute in una camera iperbarica a una pressione da 2 a 3 atmosfere (vale a dire tra il 2,026 e 3,039 bar) è tra 60 minuti e 4-6 ore.
Queste sessioni possono essere ripetute da 2 a 4 volte al giorno, in funzione dello stato clinico del paziente.
La compressione e la decompressione dovrebbero essere condotte lentamente in accordo con le procedure adottate comunemente, in modo da evitare il rischio di danno pressorio (barotrauma) a carico delle cavità anatomiche contenenti aria e in comunicazione con l’esterno.
L’ossigenoterapia iperbarica deve essere effettuata da personale qualificato per questo trattamento e in strutture specializzate dotate di attrezzature per assicurare le opportune precauzioni per l’uso iperbarico. Avvertenze e precauzioni
- L’ossigeno deve essere somministrato con cautela, con aggiustamenti in funzione delle esigenze del singolo paziente.
Deve essere somministrata la dose più bassa che permette di mantenere la pressione a 8 kPa (60 mmHg).
Concentrazioni più elevate devono essere somministrate per il periodo più breve possibile, monitorando frequentemente i valori dell’emogasanalisi.
L’ossigeno può essere somministrato in sicurezza alle seguenti concentrazioni e per i seguenti periodi di tempo: Fino a 100%: meno di 6 ore 60-70%: 24 ore 40-50%: nel corso del secondo periodo di 24 ore.
L’ossigeno è potenzialmente tossico dopo due giorni a concentrazioni superiori al 40%.
Concentrazioni basse di ossigeno devono essere usate per pazienti con insufficienza respiratoria in cui lo stimolo per la respirazione è rappresentato dall’ipossia.
In questi casi è necessario monitorare attentamente il trattamento, misurando la tensione arteriosa di ossigeno (PaO2), o tramite pulsometria (saturazione arteriosa di ossigeno - SpO2) e valutazioni cliniche.
La somministrazione di ossigeno a pazienti affetti da insufficienza respiratoria indotta da farmaci (oppioidi, barbiturici) o da broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO) potrebbe aggravare ulteriormente l’insufficienza respiratoria a causa dell’ipercapnia costituita dall’elevata concentrazione nel sangue di anidride carbonica, che annulla gli effetti sui recettori.
Le concentrazioni elevate di ossigeno nell’aria o nel gas inalato determinano la caduta della concentrazione e della pressione di azoto.
Questo riduce anche la concentrazione di azoto nei tessuti e nei polmoni (alveoli).
Se l’ossigeno viene assorbito nel sangue attraverso gli alveoli più velocemente di quanto venga fornito attraverso la ventilazione, gli alveoli possono collassare (atelectasia).
Questo può ostacolare l’ossigenazione del sangue arterioso, perché non avvengono scambi gassosi nonostante la perfusione.
Nei pazienti con una ridotta sensibilità alla pressione dell’anidride carbonica nel sangue arterioso, gli elevati livelli di ossigeno possono causare ritenzione di anidride carbonica.
In casi estremi, questo può portare a narcosi da anidride carbonica.
Pazienti a rischio di insufficienza respiratoria ipercapnica Precauzioni particolari devono essere adottate nei pazienti con sensibilità ridotta alla pressione dell’anidride carbonica nel sangue arterioso o a rischio di insufficienza respiratoria ipercapnica ("drive ipossico") (ad es.
pazienti con bronco-pneumopatie croniche ostruttive (BPCO), fibrosi cistica, obesità patologica, deformità della parete toracica, disordini neuromuscolari, sovradosaggio di farmaci depressivi della respirazione).
La somministrazione di ossigeno supplementare può causare depressione respiratoria e un aumento di PaCO2 con conseguente acidosi respiratoria sintomatica (vedere paragrafo 4.8).
In questi pazienti la terapia con ossigeno deve essere attentamente titolata; il target della saturazione di ossigeno da raggiungere può essere più basso che in altri pazienti e l’ossigeno deve essere somministrato a basse velocità di flusso.
Precauzioni particolari nei pazienti con lesioni polmonari da bleomicina La tossicità polmonare della terapia con ossigeno ad alto dosaggio può potenziare le lesioni polmonari, anche se somministrata diversi anni dopo la lesione iniziale del polmone causata da bleomicina, e il target di saturazione di ossigeno da raggiungere può essere più basso che in altri pazienti (vedere paragrafo 4.5).
Popolazione pediatrica: A causa della maggiore sensibilità del neonato all'ossigeno supplementare, deve essere somministrata la più bassa concentrazione di ossigeno efficace, al fine di ottenere un'adeguata ossigenazione per i neonati.
Nei neonati pretermine e nei neonati a termine l'aumento della PaO2 può portare alla retinopatia del prematuro (vedere paragrafo 4.8), malattie polmonari croniche, emorragie intraventricolari.
Si raccomanda di iniziare la rianimazione dei neonati nati a termine o vicino al termine con aria anziché con ossigeno al 100%.
Nei neonati pretermine, la concentrazione ottimale dell'ossigeno e il target dell'ossigeno non sono precisamente definiti.
Se necessario, l'ossigeno supplementare dovrà essere monitorato attentamente e guidato con pulsossimetria.
Ossigenoterapia iperbarica (HBOT) La somministrazione di ossigeno in camera iperbarica deve essere attentamente valutata in funzione del rapporto rischio/beneficio, in caso di: • otiti e/o sinusiti recidivanti, laringocele, cavità mastoidea, sindrome vestibolare, perdita dell'udito e recente intervento dell'orecchio medio • patologie cardiache ischemiche e/o congestizie; nei pazienti con sindrome coronarica acuta o infarto miocardico acuto che richiedono anche terapia iperbarica, come nel caso di intossicazione da CO, la terapia iperbarica deve essere condotta con cautela a causa della potenziale vasocostrizione dell'iperossia nella circolazione coronarica • ipertensione arteriosa non trattata farmacologicamente • patologie polmonari restrittive e/o restrittive di grado elevato • glaucoma, distacco di retina anche se trattato chirurgicamente (manovre di compensazione) • storia di convulsioni, epilessia • febbre alta non controllata • ansia grave, psicosi, claustrofobia Pazienti affetti da diabete mellito La terapia iperbarica può interferire con il metabolismo del glucosio.
Gli effetti vasocostrittori della terapia iperbarica possono inoltre compromettere l’assorbimento sottocutaneo dell’insulina, rendendo il paziente iperglicemico.
Può essere considerato di monitorare il glucosio ematico tra una sessione e l’altra di terapia iperbarica.
Disturbi respiratori A causa della decompressione, alla fine della sessione iperbarica, il volume del gas aumenta mentre la pressione nella camera diminuisce, e questo può portare a pneumotorace parziale o aggravamento di uno pneumotorace sottostante.
In un paziente con uno pneumotorace non drenato, la decompressione potrebbe determinare lo sviluppo di un pneumotorace iperteso.
Nei casi di pneumotorace, le cavità pleuriche devono essere drenate prima della seduta e potrebbe essere necessario continuare la procedura di drenaggio durante la seduta di terapia iperbarica (vedere paragrafo 4.3).
Inoltre, tenendo conto del rischio di espansione del gas durante la fase di decompressione della terapia iperbarica, il rapporto beneficio / rischio della terapia iperbarica deve essere valutato accuratamente nei pazienti con asma insufficientemente controllata, enfisema polmonare, bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), recente intervento toracico.
SICUREZZA (vedere anche par.
6.6) L’ossigeno è un comburente e pertanto alimenta la combustione.
In presenza di sostanze combustibili quali i grassi (oli, lubrificanti) e sostanze organiche (tessuti, legno, carta, materie plastiche, ecc.) l’ossigeno può spontaneamente, per effetto di un innesco (scintilla, fiamma libera, fonte di accensione), oppure per effetto della compressione adiabatica che può accadere nelle apparecchiature di riduzione della pressione (riduttori) durante una riduzione repentina della pressione del gas, attivare una combustione.
Di conseguenza, tutte le sostanze con le quali l’ossigeno viene a contatto devono essere classificate come sostanze compatibili con il prodotto nelle normali condizioni di utilizzo.
• Qualsiasi sistema o contenitore per l’erogazione dell’ossigeno deve essere tenuto lontano da fonti di calore a causa della comburenza dell’ossigeno: vanno quindi prese le dovute precauzioni in merito, sia in ambiente ospedaliero che domestico, in presenza di ossigeno medicinale.
• L’ossigeno può provocare l'improvviso incendio di materiali incandescenti o di braci; per questo motivo non è permesso fumare o tenere fiamme accese libere e non schermate in prossimità dei recipienti e dei sistemi di erogazione.
• Non fumare nell'ambiente in cui si pratica ossigenoterapia.
• Non disporre bombole o contenitori in prossimità di fonti di calore.
• Non deve essere utilizzata alcuna attrezzatura elettrica che può emettere scintille nelle vicinanze dei pazienti che ricevono ossigeno.
• È assolutamente vietato intervenire in qualsiasi modo sui raccordi dei contenitori, sulle apparecchiature di erogazione e sui relativi accessori o componenti (OLIO E GRASSI POSSONO PRENDERE SPONTANEAMENTE FUOCO A CONTATTO CON L'OSSIGENO).
• Deve essere evitato qualsiasi contatto con olio, grasso o altri idrocarburi.
• È assolutamente vietato manipolare le apparecchiature o i componenti con le mani o gli abiti o il viso sporchi di grasso, olio, creme ed unguenti vari.
Non usare creme e rossetti grassi.
• In ambiente sovraossigenato l’ossigeno può saturare gli abiti.
• È assolutamente vietato toccare le parti congelate (per i criocontenitori).
• Le bombole ed i contenitori criogenici mobili non possono essere usati se vi sono danni evidenti o si sospetta che siano stati danneggiati o siano stati esposti a temperature estreme.
• Possono essere usate solo apparecchiature adatte e compatibili con l’ossigeno per il modello specifico di recipiente.
• Non si possono usare pinze o altri utensili per aprire o chiudere la valvola della bombola, al fine di prevenire il rischio di danni.
• In caso di perdita, la valvola della bombola deve essere chiusa immediatamente, se si può farlo in sicurezza.
Se la valvola non può essere chiusa, la bombola deve essere portata in un posto più sicuro all’aperto per permettere all’ossigeno di fuoriuscire liberamente.
• Le valvole delle bombole vuote devono essere tenute chiuse.
• L’ossigeno ha un forte effetto ossidante e può reagire violentemente con sostanze organiche.
Questo è il motivo per cui la manipolazione e la conservazione dei recipienti richiedono particolari precauzioni.
Non è permesso somministrare il gas in pressione.
Ustioni da freddo per contatto diretto con l’ossigeno liquido L’ossigeno diventa liquido approssimativamente a -183°C.
A così basse temperature, il contatto dell’ossigeno liquido con la pelle o con le membrane mucose può causare ustioni da freddo.
Devono essere prese particolari precauzioni di sicurezza quando si gestiscono i contenitori criogenici: deve essere indossato il vestiario protettivo appropriato (guanti, occhiali, abbigliamento largo e pantaloni che coprono le scarpe).
Se l’ossigeno liquido viene a contatto con la pelle o gli occhi, le aree interessate devono essere lavate con un’abbondante quantità di acqua fredda, o devono essere applicati impacchi freddi; deve essere richiesta immediatamente l’assistenza medica. Interazioni
- L’ossigeno non deve essere somministrato in concomitanza a farmaci che ne aumentano la tossicità, come catecolamine (ad es.
epinefrina, norepinefrina), corticosteroidi (ad es.
desametasone, metilprednisolone), ormoni (ad es.
testosterone, tiroxina), chemioterapici (bleomicina, ciclofosfammide, 1,3-bis(2-chloroethyl) -1-nitrosourea) ed agenti antimicrobici, ad es.
nitrofurantoina).
I raggi X possono aumentare la tossicità dell’ossigeno.
Anche l’ipertiroidismo e la carenza di vitamina C, vitamina E o di glutatione possono produrre lo stesso effetto.
La tossicità polmonare associata con farmaci come bleomicina, actinomicina, amiodarone, nitrofurantoina e antibiotici simili può essere accresciuta dall’inalazione concomitante di alte concentrazioni di ossigeno.
Nei pazienti che sono stati trattati per danno polmonare indotto da radicali liberi, la terapia a base di ossigeno può peggiorare il danno, per esempio nel trattamento dell’avvelenamento da paraquat.
L’ossigeno può anche peggiorare la depressione respiratoria indotta dall’alcool.
Farmaci noti per indurre eventi avversi comprendono: adriamicina, menadione, promazina, clorpromazina, tioridazina e clorochina.
Gli effetti saranno particolarmente pronunciati nei tessuti con livelli elevati di ossigeno, specialmente i polmoni.
In presenza di ossigeno, l'ossido nitrico viene rapidamente ossidato per formare derivati nitrati superiori che sono irritanti per l'epitelio bronchiale e la membrana alveolo-tcapillare.
Il biossido di azoto (NO2) è il principale composto formato.
La velocità di ossidazione è proporzionale alle concentrazioni iniziali di ossido nitrico e di ossigeno nell'aria inalata e alla durata del contatto tra NO e O2. Effetti indesiderati
- I tessuti mostrano differente sensibilità all’iperossiemia, i più sensibili sono i polmoni, il cervello e gli occhi.
Descrizione di reazioni avverse selezionate Eventi avversi respiratori A pressione ambientale, i primi segni (tracheobronchite, dolore substernale e tosse secca) compaiono non appena dopo 4 ore di esposizione ad ossigeno 95%.
Una ridotta capacità vitale forzata può verificarsi entro 8-12 ore dall’esposizione al 100% di ossigeno, ma le lesioni gravi richiedono esposizioni molto più lunghe.
Si può osservare edema interstiziale dopo 18 ore dall’esposizione al 100% di ossigeno e con possibile evoluzione in fibrosi polmonare.
Gli effetti respiratori riportati con ossigenoterapia iperbarica HBOT sono generalmente simili a quelli riscontrati durante il trattamento con ossigeno normobarico, ma il tempo di insorgenza dei sintomi è più breve.
L’inalazione di forti concentrazioni di ossigeno può dare origine ad atelettasie causate dalla diminuzione dell’azoto negli alveoli e dall’effetto diretto dell’ossigeno sul surfactante alveolare.
Lo sviluppo delle sezioni atelettasiche dei polmoni porta a un rischio di saturazione arteriosa più povera di ossigeno nel sangue, nonostante una buona perfusione, a causa della mancanza di scambio di gas nelle sezioni atelettasiche dei polmoni.
Il rapporto ventilazione/perfusione peggiora, portando a shunt intrapolmonare.
In pazienti con malattie a lungo termine associate a ipossia cronica e ipercapnia potrebbe verificarsi un cambiamento nelle modalità di controllo della ventilazione.
In queste circostanze, la somministrazione di contrazioni di ossigeno troppo elevate può causare depressione respiratoria dovuta alla soppressione dello stimolo ventilatorio causata dall’effetto del brusco aumento della pressione parziale di ossigeno a livello dei chemorecettori carotidei e aortici, inducendo ipercapnia aggravata, acidosi respiratoria e infine arresto respiratorio (vedere paragrafo 4.4).
La somministrazione di ossigeno a pazienti affetti da depressione respiratoria indotta da farmaci (oppioidi, barbiturici) o da BPCO potrebbe deprimere ulteriormente la ventilazione dato che, in queste condizioni, l’ipercapnia non è più in grado di stimolare i chemorecettori centrali mentre l’ipossia è ancora in grado di stimolare i chemorecettori periferici.
Tossicità a carico del sistema nervoso centrale Può svilupparsi quando i pazienti respirano ossigeno al 100% a pressioni superiori a 2 bar.
Le manifestazioni precoci comprendono visione offuscata, diminuzione della visione periferica, midriasi, tinnito, disturbi respiratori, mialgia, contrazioni muscolari localizzate, in particolare degli occhi, della bocca e della fronte.
Il prolungamento dell’esposizione può causare vertigini e nausea, vomito seguiti da comportamenti alterati (ansia, confusione, irritabilità), abbassamento del livello di coscienza (fino alla perdita di conoscenza), emiplegia, atassia, perdita dell’udito e convulsioni generalizzate.
Si ritiene che le scariche indotte dall’iperossia siano reversibili, non causando alcun danno neurologico residuo e scomparendo al momento della riduzione della pressione parziale dell’ossigeno inspirato.
Eventi avversi correlati all’ossigenoterapia iperbarica (HBOT) L’ossigenoterapia iperbarica può dare origine a barotrauma da iper-pressione sulle pareti delle cavità chiuse, come l’orecchio interno, con rischio di edema o rottura della membrana timpanica (con dolore ed eventuale emorragia), dei seni paranasali o dei polmoni, con conseguente rischio di pneumotorace, mal di denti, implosione od esplosione dei denti, flatulenza, dolore da colica.
A causa delle dimensioni relativamente piccole di alcune camera iperbariche, i pazienti possono sviluppare ansia da confinamento che non è dovuta ad un effetto diretto dell’ossigeno.
Tossicità oculare È stata osservata miopia progressiva in casi di trattamenti iperbarici multipli.
Il meccanismo rimane non chiarito, ma è stato ipotizzato che dipenda dall’aumento dell’indice di rifrazione del cristallino.
La maggior parte dei casi si sono risolti spontaneamente.
Tuttavia, il rischio di irreversibilità è aumentato dopo più di 100 terapie.
Dopo la conclusione della terapia iperbarica, la remissione della miopia è di solito rapida nelle prime settimane e successivamente più lenta, per periodi che vanno da diverse settimane fino a un anno.
Non è possibile stimare il numero soglia di sessioni di terapia iperbarica, né la durata.
La somministrazione di ossigeno può causare una lieve riduzione della frequenza e della gittata cardiaca.
Popolazione pediatrica Nei neonati, in particolare quelli prematuri, esposti a forti concentrazioni di ossigeno FiO2 > 40%, PaO2 > di 80mmHg o per periodi prolungati (più di 10 giorni a una FiO2 > 30%), si può verificare rischio di retinopatia di tipo fibroplastico retrolenticolare temporaneo o permanente (retinopatia del prematuro, vedere paragrafo 4.4).
In tal caso può avvenire il distacco della retina e anche cecità permanente, displasia broncopolmonare, sanguinamento subependimale ed intraventricolare, nonché enterocolite necrotizzante.
La somministrazione di ossigeno modifica la quantità di ossigeno trasportata e ceduta ai vari tessuti.
Un aumento della concentrazione locale di ossigeno, principalmente della frazione disciolta, porta ad un aumento della produzione di composti reattivi dell’ossigeno e, di conseguenza, ad un aumento di enzimi antiossidanti o di composti anti-ossidanti endogeni.
Il potenziale danno ossidativo diretto dell’ossigeno è da valutare nella gestione dei prematuri che possono risentire negativamente ed in modo persistente della perossidazione lipidica a carico delle membrane cellulari.
In tali soggetti, che non dispongono ancora di un patrimonio di antiossidanti endogeni ad effetto protettivo, la somministrazione di ossigeno può contribuire allo sviluppo di condizioni patologiche persistenti a carico del parenchima polmonare (displasia broncopolmonare; fibrosi polmonare), fino all’insufficienza respiratoria.
Rischio di incendio: il rischio di incendio aumenta in presenza di alte concentrazioni di ossigeno e di fonti di ignizione che possono provocare ustioni termiche (vedere paragrafo 4.4).
Ustioni da freddo si verificano in caso di contatto diretto con ossigeno liquido (vedere paragrafo 4.4).
Nelle tabelle sottostanti sono elencate le reazioni avverse identificate suddivise in base alla classificazione sistemico-organica e alla frequenza.
La frequenza viene definita utilizzando i seguenti parametri: Molto comune (≥ 1/10); Comune (≥ 1/100 e <1/10); Non comune (≥ 1/1.000 e <1/100); Raro (≥ 1/10.000 e <1/1.000); Molto raro (< 1/10.000); e Non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili).
Reazioni avverse associate all’ossigenoterapia normobarica
Reazioni avverse associate all’ossigenoterapia iperbaricaMolto comune(≥ 1/10) Comun e (≥1/100,<1/10) Non comun e (≥1/1.000,<1/100) Raro (≥1/10.000,<1/1.000) Molto raro (<1/10.000) Non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili) Patologie e respiratorie, toraciche mediastiniche Tossicità polmonare: • tracheobronchiti (dolore sottosternale, tosse secca) • edema interstiziale • fibrosi polmonare Peggioramento dell’ipercapnia in pazienti con ipossia/ipercapnia cronica trattati con FiO2 eccessivamente elevata: • ipoventilazione • acidosi respiratoria • arresto respiratorio Patologie dell’occhio Retinopatia del prematuro Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Secchezza delle mucose Irritazione locale e infiammazione della mucosa
Segnalazione di sospette reazioni avverse La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo del medicinale.Molto comune(≥ 1/10) Comune (≥ 1/100, <1/10) Noncomune (≥1/1.000,<1/100) Raro (≥1/10.000,<1/1.000) Molto raro (<1/10.000) Non nota (la frequenzanon puòessere definita sulla base dei dati disponibili) Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche Dispnea Disturbi respiratori Patologie del sistema nervoso Convulsioni Patologie del sistema muscolo scheletrico e del tessuto connettivo Spasmi muscolari localizzati Patologie dell’orecchio e del labirinto Dolore dell’orecchi o Perforazione della membrana timpanica Vertigini Diminuzione dell’udito Otite media acuta sierosa Tinnito Patologie gastrointestinali Nausea Disturbi psichici Comportamento anormale Patologie dell’occhio Miopia progressiva Visione periferica diminuita, Visione offuscata, Cataratta Traumatismo, avvelenamento e complicazioni da procedura Barotrauma (seni paranasali, orecchio, polmone, denti, ecc.) Disturbi del metabolismo e della nutrizione Ipoglicemia in pazienti diabetici
Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione all’indirizzo www.agenziafarmaco.gov.it/content/come-segnalare-unasospetta-reazione-avversa. Gravidanza e allattamento
- Gravidanza Nei test su animali, è stata osservata tossicità riproduttiva dopo la somministrazione di ossigeno ad alte pressioni o ad alte concentrazioni (vedere paragrafo 5.3).
Non è nota la rilevanza clinica per l’uomo di tali evidenze.
Ossigenoterapia normobarica L’ossigeno a pressione atmosferica (pressione inferiore a 0,6 atm) può essere usato durante la gravidanza ma solo quando è necessario, cioè in caso di indicazioni vitali, donne in condizioni critiche o con ipossiemia.
Ossigenoterapia iperbarica L’utilizzo del trattamento iperbarico è controindicato nella gravidanza normoevolvente (primo trimestre) per patologie non acute.
L’utilizzo della terapia iperbarica in gravidanza potrebbe indurre stress ossidativo da eccesso di ossigeno provocando danni al feto.
In casi di grave intossicazione da monossido di carbonio il rapporto beneficio/rischio sembra rassicurare verso l’uso della terapia iperbarica.
Allattamento Non vi sono controindicazioni per l’uso dell’ossigeno durante l’allattamento. Conservazione
- Osservare tutte le regole pertinenti all’uso e alla movimentazione delle bombole sotto pressione e dei recipienti contenenti liquidi criogenici.
Conservare le bombole e i recipienti criogenici mobili a temperature comprese tra -10°C e 50°C, in ambienti ben ventilati, oppure in rimesse ben ventilate, evitando la formazione di atmosfere sovraossigenate (O2> 21% vol.), in posizione verticale con le valvole chiuse, protetti da pioggia, intemperie, dall’esposizione alla luce solare diretta, lontano da fonti di calore o d’ignizione e da materiali combustibili.
I recipienti vuoti o che contengono altri tipi di gas devono essere conservati separatamente.
I contenitori criogenici fissi, installati presso le strutture sanitarie, devono essere collocati all’aperto secondo quanto specificato dalla Circolare 99/1964, in zone confinate e protette, con accessi limitati agli addetti, gestiti e mantenuti secondo le indicazioni fornite da ciascun Fabbricante.
Si tratta di apparecchiature a pressione e quindi soggette alla Direttiva CE PED e/o al Decreto Ministeriale del 21/11/1972.
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