Evitare le cefalee croniche
Le differenti strade da percorrere per evitare questo fastidio che può condizionare la nostra quotidianità
Si calcola che in Italia circa due milioni di persone soffrano di cefalea cronica quotidiana. Molte di loro, a causa del dolore invalidante, sono costrette a rinunciare alla vita di relazione, agli impegni di lavoro, alla cura della famiglia, agli amici e allo svago. Evitare di arrivare a questi estremi, però, è possibile.
No al fai da te
Si parla di cefalea cronica quando il mal di testa si presenta almeno 15 giorni al mese per almeno tre mesi consecutivi. In genere, però, chi arriva in un centro specialistico non ne soffre solo da tre mesi, bensì da anni (anche 20 anni): si rivolge allo specialista perché esasperato dal suo problema.
Raramente la cefalea inizia subito in forma cronica, lo diventa con il tempo, aumentando via via di intensità e frequenza. Una delle principali cause di cronicizzazione è rappresentata proprio dall’autocura.
Non abusare dei farmaci
Molte persone con mal di testa preferiscono il fai da te al medico. Ciò significa che prendono farmaci sintomatici (comuni analgesici da banco, ma anche altri, come associazioni con barbiturici/oppiacei/caffeina oppure specifici anti-emicranici, e cioè i triptani), che aiutano a combattere il dolore.
Se le crisi diventano più frequenti, i diretti interessati non fanno altro che aumentare la dose dei farmaci, non sapendo che in realtà così non migliorano, ma peggiorano il problema. Infatti, continuando a prendere analgesici e aumentandone via via l’impiego è come se si abituasse l’organismo, che di conseguenza diviene sempre meno sensibile alla loro azione.
Il corpo umano è in grado di difendersi naturalmente dal dolore grazie al sistema anti-nocicettivo: un sistema controllato dal cervello che ha il compito di regolare la risposta al dolore. L’uso eccessivo degli analgesici “addormenta” questo sistema, che quindi, a lungo andare, non è più capace di tenere a bada il dolore. Il risultato è che la persona soffre, nonostante e anzi grazie all’uso dei farmaci.
Le persone più a rischio
La situazione è ancora più complicata negli individui caratterizzati da una personalità dipendente, che soffrono cioè di un disturbo da dipendenza di sostanze come caffè, sigarette, alcol, cioccolato, farmaci. Queste persone, infatti, hanno un impulso irresistibile verso una determinata sostanza, in questo caso verso gli analgesici. Li prendono quindi anche per disturbi di tutt’altro genere. Questo non fa altro che scombussolare ulteriormente il sistema anti-nocicettivo.
Il candidato tipico soggetto a cefalea cronica è una donna di circa 40 anni, che è stata precedentemente sposata (e ora è vedova o separata), in sovrappeso e di livello socioeconomico medio. Non si sa esattamente per quali motivi, ma si è visto che il problema compare con maggiore frequenza in persone che rispecchiano o si avvicinano a queste caratteristiche.
Trovare il farmaco giusto
Ci sono anche individui che si rivolgono al medico, ma poi non seguono le cure prescritte perché non ottengono risultati soddisfacenti. Invece, se la cura non dà subito i risultati sperati non bisogna demoralizzarsi: non sempre, infatti, si riesce a trovare la soluzione adatta al singolo caso al primo tentativo.
In genere, prima di dichiarare l’insuccesso del trattamento, bisogna testare il farmaco in almeno tre attacchi (se non ci sono effetti collaterali). Se non si hanno effetti dopo tre prove, è possibile passare a un’altra molecola dello stesso gruppo: nella maggior parte dei casi una delle varie molecole disponibili riesce a curare il problema.
Occorre sapere, infatti, che non tutte le persone reagiscono in modo uguale agli stessi farmaci. Questo perché la risposta è regolata anche dalla genetica. I geni controllano in particolare gli enzimi, le sostanze che metabolizzano i principi attivi, li trasportano nell’organismo e li fanno arrivare la dove servono.
Inoltre, bisogna tenere presente che, rispetto ai farmaci, gli individui possono essere metabolizzatori lenti o veloci: i primi metabolizzano molto lentamente il farmaco, mentre i secondi lo fanno in maniera più rapida. Nel primo caso, dunque, passa più tempo perché la persona possa trarre beneficio dall’uso del medicinale. Per questo i lenti metabolizzatori sono considerati più a rischio di abuso: non avendo un sollievo immediato, c’è il rischio che ricorrano ad altre compresse, aumentando le dosi previste.
Seguire una cura preventiva
In alcuni casi, per evitare che la cefalea diventi cronica è necessario impostare una terapia farmacologica di profilassi o preventiva. In realtà, questa cura ha anche un altro obiettivo: ridurre l’intensità degli attacchi dolorosi ed evitare che la persona si isoli e si chiuda in se stessa per paura di una crisi successiva.
In genere, questo trattamento è indicato nei soggetti che presentano attacchi di mal di testa molto frequenti e molto disabilitanti. Bisogna tenere presente, che secondo le linee guida più recenti, un paziente che soffre di tre o più crisi emicraniche al mese ha già bisogno di iniziare una cura di profilassi e così anche chi soffre più di sette giorni al mese di cefalee tensive.
Oggi si hanno a disposizione diverse classi di farmaci preventivi: la scelta va sempre fatta dal medico. Le terapie vanno personalizzate, devono durare alcuni mesi e l’efficacia va valutata in relazione alla riduzione (almeno del 50%) del numero di giorni di mal di testa al mese. Si possono poi ripetere a cicli, per mantenerne l’efficacia nel tempo.
I farmaci più usati
Le classi farmacologiche più utilizzate nella profilassi del mal di testa sono:
– i beta-bloccanti e i calcio agonisti: agiscono modulando il tono dei vasi sanguigni e regolando alcuni meccanismi chimici implicati nel dolore cefalico;
– gli antidepressivi: agiscono a livello centrale intervenendo prevalentemente su recettori serotoninergici, che sono implicati anche nella nascita delle cefalee. Sono utili soprattutto quando è presente anche un disturbo della sfera emozionale-affettiva (come la depressione), perché agiscono anche in questo senso. Tra questi vengono utilizzati soprattutto gli antidepressivi triciclici, ma anche gli inibitori selettivi del reuptake (ricaptazione) della serotonina;
– gli antiepilettici: da alcuni anni si sta diffondendo anche l’utilizzo di queste molecole. Sembra, infatti, che esse agiscano sulla soglia del dolore e sulla ipereccitabilità cerebrale;
– il carbonato di litio: è usato nella prevenzione delle cefalee a grappolo. La cura va iniziata all’esordio del grappolo e deve proseguire per due settimane dopo la sua fine. Le dosi vanno ridotte gradualmente, evitando brusche sospensioni. Durante il ciclo di terapia è necessario fare degli esami del sangue per verificare la quantità di litio presente nel sangue, perché un’alta concentrazione può essere tossica.
Quando serve la neuromodulazione
Quando il dolore, di qualunque tipo (in genere, però, dovuto a emicrania o a cefalea a grappolo), è cronico e particolarmente invalidante, la persona non riesce a condurre una vita normale e i trattamenti farmacologici sono del tutto inefficaci (si parla allora di cefalee resistenti e refrattarie), si può ricorrere alla chirurgia. Oggi la tecnica più utilizzata è la neuromodulazione, ossia l’uso di microelettrodi e mini pace-maker.
Questi strumenti possono essere impiantati, con una piccola operazione chirurgica, in zone diverse, per esempio a livello dell’ipotalamo (questo nel caso delle cefalee a grappolo croniche), del collo, lateralmente dove passa il nervo vago diretto al cervello (nervo del cranio) o posteriormente dove passa il nervo occipitale (nervo che parte dalla colonna vertebrale e raggiunge la regione occipitale del cranio).
Il funzionamento, però, è sempre lo stesso: i dispositivi trasmettono, a intervalli regolari, microimpulsi elettrici ai centri cerebrali che controllano il dolore, inibendoli. Di conseguenza, queste aree diventano meno attive ed eccitabili e scatenano un numero inferiore di attacchi.
Bisogna specificare, però, che queste tecniche sono riservate solo a casi particolari, dopo un’attenta e approfondita valutazione da parte del medico specialista.
La novità: il botulino
Recentemente, anche in Italia è stata approvata la tossina botulinica di tipo A o Botox come terapia profilattica nei pazienti con emicrania cronica. Il via libera è arrivato grazie allo studio Preempt (Phase III REsearch Evaluating Migraine Prophylaxis Therapy), che ha valutato il profilo di sicurezza e l’efficacia della tossina che va iniettata alla dose di 155 unità in 31 siti muscolari della testa, del viso e del collo.
La tossina botulinica è una sostanza potenzialmente tossica che può essere però iniettata nell’organismo a scopo curativo, a dosi limitate e sicure (per esempio, è usata in neurologia, oftalmologia e, in formulazioni diverse, in medicina estetica). Essa blocca la liberazione dell’acetilcolina, il neurotrasmettitore responsabile della contrazione muscolare. Di conseguenza, i muscoli non riescono più a muoversi e subiscono una sorta di paralisi temporanea.
Nel caso del mal di testa, la tossina blocca la partenza dello stimolo doloroso dei terminali nervosi periferici situati in fronte, tempie e nuca. Inoltre, la decontrazione della zona della fronte o di altre zone del viso provocata dalle iniezioni di botulino diminuisce il dolore causato dall’emicrania cronica. La terapia si attua a cicli (le infiltrazioni si effettuano ogni tre mesi) per almeno tre sedute. Il Sistema sanitario nazionale italiano copre parzialmente i costi di questa terapia (si paga solo un ticket).