23/10/2017

Artrite reumatoide

L’artrite reumatoide è una malattia cronica di cui soffrono circa 250.000 persone, soprattutto donne nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 50 anni.

Si caratterizza per la comparsa di dolori alle articolazioni che diventano rigide e tumefatte. È tra le prime cause di disabilità e riduce l’aspettativa di vita di 5-10 anni.

Se, però, viene riconosciuta e curata in tempo, può essere tenuta efficacemente sotto controllo. Ecco perché è importantissimo sapere di che cosa si tratta.

Una malattia infiammatoria

Per artrite reumatoide si intende una malattia infiammatoria cronica che colpisce in primo luogo la membrana sinoviale delle articolazioni.

Dipende da un’anomalia del sistema immunitario (il naturale sistema di difesa) che improvvisamente innesca un meccanismo di autodistruzione. Probabilmente, la reazione scatta quando l’organismo di una persona geneticamente predisposta entra in contatto con una molecola estranea, forse un virus o un batterio. Come conseguenza il sistema immunitario attiva i linfociti T e B, cellule in grado di combatterlo.

In caso di malattia, però, i linfociti non aggrediscono solamente gli agenti estranei, ma anche le strutture articolari. Producono, infatti, particolari proteine, le citochine che provocano l’infiammazione dell’articolazione e favoriscono l’aggressione alle sue componenti. Il risultato è che tutta la struttura risulta danneggiata.

I sintomi

La malattia si caratterizza per la comparsa di alcuni segnali tipici. Innanzitutto, una rigidità mattutina delle articolazioni delle mani, dei piedi e delle spalle, che può persistere a lungo, fino a un’ora, e rende difficili anche semplici movimenti come aprire e chiudere le mani.

Inoltre, la persona colpita avverte un dolore diffuso a tutte le articolazioni (polsi, mani, piedi, ginocchia, spalle) e un dolore alla “presa” della mano o dell’avampiede.

Infine, le articolazioni diventano tumefatte e gonfie e talvolta anche arrossate.

Oltre a questi sintomi caratteristici, ne possono comparire anche altri più generali, come debolezza, affaticamento, malessere, febbricola, perdita di peso e depressione.

Non va trascurata

Se l’infiammazione iniziale viene trascurata, con il passare del tempo la membrana sinoviale finisce per ispessirsi sempre di più e si trasforma in un tessuto infiammatorio che invade tutta l’articolazione.

Questo tessuto, detto “panno”, è costituito da cellule che rilasciano enzimi, cioè proteine in grado di digerire e degradare il tessuto articolare, connettivo e osseo.

Per questa ragione, l’osso può venire progressivamente distrutto e l’infiammazione può estendersi ad altre strutture articolari, come tendini e legamenti.

Con gli anni, l’infiammazione può arrivare, gradualmente, ad altri organi tra cui polmoni, cute e apparato cardiovascolare. In pratica può colpire tutto l’organismo (si parla di malattia sistemica), provocando un’invalidità molto seria ed estesa.

Nelle fasi più avanzate, la malattia dà luogo anche a una progressiva alterazione dei vasi sanguigni, innescando di conseguenza un processo di aterosclerosi: ecco perché l’aspettativa di vita dei malati si riduce.

Le forme più aggressive

Le forme che hanno più probabilità di diventare aggressive sono quelle che all’esordio presentano alcuni fattori di rischio, in particolare: 

 sesso femminile: le donne sono più colpite degli uomini
e la malattia è più aggressiva e rapida nel sesso femminile, probabilmente a causa di fattori ormonali;

 età: intorno ai 50 anni;

 articolazioni: ne sono coinvolte molte;

 fattore reumatoide: si tratta di un anticorpo che in alcuni

casi viene prodotto durante la malattia.

Se è presente (lo si scopre attraverso un’analisi del sangue),

l’andamento della malattia in genere non è buono;

 determinati anticorpi antipeptidici, come gli antipeptidi citrullinati: se sono presenti, la forma è solitamente aggressiva.

Le cure

È fondamentale che la persona si rivolga al medico alla comparsa dei primi segnali. Infatti, se la malattia viene diagnosticata e trattata entro quattro-sei mesi dall’esordio, è possibile controllarla in modo molto soddisfacente e ridurre notevolmente i sintomi per periodi anche molto lunghi.

La cura si gioca su due fronti:

 farmaci sintomatici per ridurre il dolore e l’infiammazione;

 trattamento di base per controllare la progressione della malattia, conservando o ripristinando le funzioni articolari e prevenendo le complicazioni.

Oggi gli specialisti tendono a impostare trattamenti aggressivi fin dall’esordio della malattia, soprattutto nelle forme a evoluzione più rapida, in cui anche solo pochi mesi possono fare la differenza.

I farmaci sintomatici

La cura sintomatica serve per alleviare il dolore, contrastare la rigidità articolare e combattere l’infiammazione.

In genere, viene prescritta per le forme non aggressive oppure in associazione alla cura che rallenta l’evoluzione dell’artrite. I principali farmaci sintomatici sono:

 farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans): hanno un’azione antinfiammatoria, analgesica e antipiretica (contro la febbre). Possono avere degli effetti collaterali, per esempio a carico dello stomaco. Sono stati, però, sintetizzati nuovi farmaci antinfiammatori, chiamati inibitori selettivi delle Cox-2, con un alto grado di tollerabilità;

 cortisonici: vengono usati per brevi periodi o in modo continuativo nelle forme più serie.
Hanno numerosi effetti collaterali, tuttavia se usati per poche settimane hanno più vantaggi che svantaggi. Il cortisone viene utilizzato anche per fare infiltrazioni locali nel caso si verifichi una riacutizzazione a livello di una o più articolazioni.

Il trattamento di base

La cura di base, o terapia di fondo, si avvale di farmaci in grado di modificare in modo significativo l’evoluzione della malattia.

In genere, il trattamento di prima linea è rappresentato dai DMARDs, una categoria piuttosto vasta di farmaci. Il più usato è il metotrexate, un chemioterapico di vecchia generazione, a basse dosi, quindi con scarsi effetti collaterali e bassa tossicità.

È in grado di controllare il processo cronico perché interrompe l’attivazione o la proliferazione delle cellule del sistema immunitario alla base della malattia.

Il farmaco viene somministrato intramuscolo o per endovena (in alcuni casi anche per bocca, dipende dalla scelta del medico) una volta alla settimana e può essere usato per lunghi periodi, anche anni.

Se la persona non risponde al metrotexate, si possono utilizzare altre molecole appartenenti alla classe dei DMARDs, come la leflonumide, un farmaco creato recentemente proprio per la cura dell’artrite reumatoide, che blocca l’azione del sistema immunitario. Si trova sotto forma di pillole, che vanno prese tutti i giorni per mesi o anni.

I farmaci biologici Anti Tnf-alfa

Da qualche anno, esiste un’arma ulteriore per i casi più resistenti: i farmaci biologici, nati grazie alla biotecnologia.

Le prime molecole che sono state messe a punto sono grado di bloccare selettivamente il principale fattore dell’infiammazione, la citochina “Tnf-alfa”. Di conseguenza, abbassano gli effetti dell’infiammazione cronica, riducendo significativamente l’evoluzione della malattia e le deformazioni articolari. Gli effetti sono migliori quanto prima si interviene.

Le molecole principali sono quattro: infliximab, efalizumab, adalimumab, etanercept. I primi tre sono anticorpi monoclonali, mentre etanercept è un recettore umano. In pratica, i primi tre aggrediscono le molecole responsabili dell’infiammazione. Etanercept invece le cattura e le neutralizza, mimando un meccanismo naturale presente nell’organismo, che però in caso di malattia non funziona in modo sufficiente.

Questi farmaci vengono somministrati per via endovenosa (inizialmente ogni due settimane e dopo meno frequentemente, ogni quattro-sei settimane, e poi ogni sei-otto settimane) o sottocutanea (una volta alla settimana o ogni 15 giorni). In quest’ultimo caso, può essere la persona stessa a farlo, attraverso speciali siringhe preriempite, studiate per facilitare l’autosomministrazione anche in chi soffre di una ridotta manualità.

I biologici possono presentare alcuni effetti collaterali (come rossore o gonfiore nella sede dell’iniezione) e non vanno usati se la persona ha una malattia infettiva, ha avuto un tumore recente o soffre di epatite.

La cura può prevedere l’uso dei biologici da soli o in associazione ai vecchi medicinali.

I nuovi biologici

Accanto ai farmaci anti Tnf-alfa, nel corso degli anni sono state sviluppate altre molecole biologiche, come:

 rituximab, un farmaco già utilizzato nella terapia dei linfomi. Agisce sui linfociti B, che sono coinvolti nel meccanismo

alla base della malattia: impedendo questo processo a monte,

si frenano anche le reazioni a catena che portano

all’infiammazione e al danno articolare;

 abatacept, una proteina prodotta per sopprimere l’attività
delle “cellule T”, che sono responsabili dell’infiammazione
e dei danni a carico delle articolazioni;

 tocilizumab: un anticorpo monoclonale umanizzato che inibisce l’attività di IL-6, una proteina che svolge un ruolo centrale
nel processo infiammatorio della malattia.

La terapia riabilitativa

È molto importante anche impostare precocemente un programma fisiochinesiterapico, volto cioè a: conservare il tono muscolare, ridurre l’atrofia muscolare, mantenere la mobilità articolare, eliminare le posizioni viziate, eseguire correttamente i gesti della vita quotidiana.

Dove rivolgersi

Se la malattia viene diagnosticata e trattata entro pochi mesi dall’esordio, è possibile controllarla in modo molto soddisfacente e ridurre notevolmente i sintomi per periodi anche molto lunghi. Purtroppo, però, anche i tempi di attesa sono spesso lunghi.

Per questo sono nate le Early arthritis clinics, centri clinici che permettono al paziente un accesso facilitato e una diagnosi rapida, cioè entro un massimo di 15-20 giorni dalla richiesta del medico di base.