16/10/2017

Il difetto interatriale

Una malattia poco conosciuta del cuore è rappresentata dal difetto interatriale. Si tratta del difetto congenito, cioè presente fin dalla nascita, più diffuso. Non sempre dà problemi. Quando è sintomatico, però, richiede quasi sempre un trattamento.

Un buco tra i due atri

Il difetto interatriale (Dia) riguarda, come dice il nome stesso, il setto interatriale, cioè la membrana che separa l’atrio destro da quello sinistro.

In realtà esistono vari tipi di difetto, ma i due più comuni, sono:

Ostium secundum (Os): si tratta di un vero e proprio buco presente nel setto interatriale. A causa di questo foro il sangue passa dall’atrio sinistro a quello destro (in condizioni normali questo non dovrebbe succedere).

Forame ovale pervio (Pfo): è il più comune in assoluto, basti pensare che interessa il 27% di tutta la popolazione mondiale. Consiste in una separazione della membrana: in pratica, i foglietti dei quali è composta si separano, lasciando un passaggio. Di conseguenza, il sangue tende a passare dall’atrio destro verso  quello sinistro in determinati momenti o in certe situazioni (colpi di tosse, starnuti, sforzi fisici, manovre decompressive eccetera).

Nei neonati è normale

I neonati possono presentare dei difetti a carico del setto interatriale.

Alcuni presentano una comunicazione di un paio di millimetri di diametro fra i due atri: essa si chiude spontaneamente in qualche settimana.

Altri sviluppano dei veri e propri difetti interatriali: quelli di piccole dimensioni (quattro-cinque millimetri) possono chiudersi spontaneamente in qualche mese.

Un Dia di medie dimensioni, non piccolissimo, deve, di regola, essere chiuso in età prescolare, ma non sempre viene scoperto.

I sintomi

In genere, il difetto interatriale non causa disturbi nei bambini, ma può rendersi evidente in età adulta a causa della comparsa di alcuni sintomi, come affaticamento, mancanza di fiato e aritmie (alterazioni del normale ritmo del cuore).

Le conseguenze

Non necessariamente i Dia danno problemi. Ma, spesso, causano una serie di conseguenze.

La persistenza di un Ostium secundum può portare a un progressivo aumento di volume nella parte destra del cuore, con incremento della portata sanguigna polmonare rispetto a quella sistematica (che interessa tutto l’organismo).

Infatti, occorre considerare che una quota di sangue passa dall’atrio sinistro all’atrio destro e va a ossigenarsi (inutilmente in quanto già ossigenato) ai polmoni, i quali ricevono un quantitativo di sangue superiore al normale. Questo, a lungo andare, può provocare uno scompenso cardiaco, anche in soggetti giovani, soprattutto in persone che praticano attività sportiva e in concomitanza di gravidanze.

Il Forame ovale pervio, invece, può essere responsabile di eventi ischemici cerebrali (riduzione del flusso sanguigno al cervello), come l’ictus (malattia a carico dei vasi sanguigni del cervello) o il Tia (ischemia transitoria), soprattutto nelle persone giovani, nonché di eventi ischemici coronarici o periferici.

Infatti, se il sangue che passa dall’atrio destro a quello sinistro porta con sé dei piccoli coaguli di sangue (che arrivano dalla periferia), questi possono poi giungere al cervello o in altre zone e bloccare la circolazione per pochi istanti.

Gli organi più a rischio sono il cervello, il cuore e i reni, perché gli emboli (coaguli di sangue) possono dare origine rispettivamente a un ictus o un infarto cardiaco o renale. Ma l’interruzione del flusso sanguigno può riguardare anche le arterie che arrivano alle gambe, alle mani, agli organi interni e così via.

Tre tipi di intervento

Il difetto interatriale non deve essere necessariamente chiuso. Se l’Ostium Secundum non provoca problemi clinici, ma soprattutto non crea sovraccarico delle sezioni destre del cuore, è possibile continuare a convivere con il problema. Viceversa, occorre intervenire.

Il Forame ovale pervio, invece, viene chiuso solo ed esclusivamente quando è con buona certezza responsabile di ictus o embolie cardiache e/o periferiche.

In ogni caso si può procedere in tre modi.

La chiusura per via percutanea

Si tratta di un intervento invasivo, ma non chirurgico, che avviene a paziente sveglio, in modalità ecoguidata, con la tecnica ecografica transesofagea (vedi capitolo 13 a pag. 53) o intracardiaca (piccola sonda ecografica introdotta nell’altra vena femorale).

In anestesia locale nella zona dell’inguine, il cardiologo interventista inserisce un catetere dalla vena femorale (la vena della gamba), e lo sospinge fino alla membrana che separa i due atri. Quindi, introduce gli strumenti necessari per chiudere il Dia.

Nel caso dell’Ostium secundum, si effettua prima un’analisi, per stimare la grandezza del difetto. Innanzitutto, mediante l’analisi ecocardiografica transesofagea o intracardiaca. In secondo luogo (questa è la misurazione più importante) con un palloncino gonfiato e graduato che va a occludere il difetto (Occlusion baloon), misurandone il diametro. In relazione al diametro maggiore del difetto si sceglie il device (dispositivo) più adatto (ce ne sono di differenti tipi, di vari millimetri di diametro).

La protesi usata più frequentemente è costituita da una lega metallica (Nitinol) e ha la forma di un ombrellino a doppio disco (come uno jojo) che si apre una volta che viene trasportata al cuore, chiudendo in modo definitivo il foro.

Nel caso del Forame ovale non è necessario eseguire la misurazione: si tratta, infatti, di una piccola apertura (un passaggio, una separazione) di dimensioni sempre molto piccole. Si procede, quindi, direttamente con il rilascio del device.

L’operazione chirurgica

Nei casi in cui non sia possibile intervenire per via percutanea è necessario optare per l’intervento a cielo aperto.

In anestesia generale, si pratica un’incisione longitudinale al centro della parete anteriore del torace, nello sterno, attraverso la quale il chirurgo può accedere al cuore. In alternativa, è possibile l’accesso laterale sottomammario (si incide lateralmente, sotto la mammella).

La persona viene poi collegata, attraverso delle cannule, al circuito per la circolazione extracorporea (costituito da una pompa e da un ossigenatore): una macchina che sostituisce il cuore, momentaneamente inattivo. A questo punto il cuore può essere fermato mediante l’infusione nelle coronarie di una speciale soluzione, chiamata cardioplegica.

Successivamente il chirurgo sutura il foro o, se le dimensioni non lo consento, applica un patch (una sorta di cerotto) o un dispositivo specifico.

Sistemato il difetto, viene inviato un impulso elettrico al cuore (con un apposito strumento) che così riprende a battere. Infine, la circolazione extracorporea viene interrotta e l’incisione cutanea viene richiusa.

La tecnica endoscopica

Infine, è possibile chiudere i difetti interatriali mediante una tecnica mininvasiva, endoscopica, in anestesia generale oppure in analgesia epidurale mediante un piccolo catetere introdotto nello spazio peridurale (piccolo spazio che circonda il canale midollare).

Per prima cosa, si esegue una piccola incisione di cinque millimetri sul lato destro del torace, attraverso la quale si introduce una microtelecamera che consentente di monitorare l’intervento.

Attorno alla telecamera viene lasciato un piccolo spazio, da dove viene insufflata anidride carbonica (la velocità è controllata da un computer). Questo permette di abbassare leggermente il polmone di destra (e, quindi, di vedere meglio il cuore tramite la telecamera) e di evitare il rischio di embolie gassose.

Tramite due piccole incisioni (una sulla vena del collo e una sull’arteria femorale) si inseriscono le cannule per la circolazione extracorporea, che viene realizzata grazie a un particolare circuito (chiamato mini-cec) che minimizza gli effetti traumatici.

Infatti, il cuore continua a battere: in pratica il sangue in arrivo dalla periferia, invece di entrare nell’atrio destro, viene aspirato dalla macchina, che lo ossigena e lo reimmette poi nel sistema arterioso della persona. In questo modo l’atrio destro durante l’intervento non è irrorato.

A questo punto vengono praticate tre piccole incisioni di qualche millimetro sul torace, in corrispondenza dell’atrio destro: così lo specialista può introdurre il microaspiratore e gli strumenti operatori. Il difetto interatriale viene suturato direttamente o chiuso con l’applicazione di un patch. Al termine, si aspira l’anidride carbonica. Le piccole incisioni non necessitano di punti di sutura: basta un piccolo cerotto.

Questo trattamento è particolarmente indicato in alternativa alla metodica percutanea soprattutto per chiudere difetti molto ampi o che coinvolgono lo sbocco delle vene polmonari.