24/09/2020

L’embolia polmonare

Sono passati più di cento anni da quando lo scienziato tedesco Rudolf Virchow ipotizzò che la formazione di trombi nei vasi sanguigni, caratteristica della tromboembolia polmonare (comunemente detta embolia polmonare), avesse tre fattori predisponenti: l’immobilità,  i traumi ricevuti dalla parete della vena, una tendenza individuale del sangue a coagulare in modo anomalo.

Oggi gode di un certo credito l’ipotesi che a giocare sulla formazione del trombo in un’arteria del polmone vi sia proprio una predisposizione ereditaria che comporta il verificarsi del problema, in seguito a un evento scatenante, dopo essere rimasta silente anche per anni e anni. Secondo le statistiche il problema interessa più di frequente le donne.

I SINTOMI

Sono due i sintomi più comuni dell’embolia polmonare: la respirazione difficoltosa (dispnea) e la respirazione accelerata (tachipnea).
Se l’embolia è “massiva”, il sangue, a causa dell’ostruzione creata dal trombo, non raggiunge una vasta superficie del polmone: di conseguenza, ai primi due sintomi si associano sincope (perdita di conoscenza), caduta della pressione sanguigna, colorito della pelle cianotico (bluastro).
Se l’embolia è modesta e localizzata sotto la pleura (tessuto di rivestimento dei polmoni), ci sono tosse, espettorato con sangue (emottisi), dolore al torace.  

Va detto, ed è di vitale importanza saperlo (e soprattutto che i medici ne tengano conto), che in una persona giovane l’unico segno può essere il respiro accelerato: questo potrebbe ingannevolmente far ritenere di trovarsi di fronte a una crisi d’ansia.
Altri sintomi possibili sono la tachicardia o, al contrario, sia pure raramente, la bradicardia, cioè il rallentamento del battito cardiaco anziché l’accelerazione.
Per via del dolore al torace può accadere che un’embolia venga scambiata per infarto, eventualità che viene esclusa sottoponendo la persona ai test sul sangue (dosaggio degli enzimi cardiaci che segnalano l’infarto) e all’elettrocardiogramma.
Ci sono altri disturbi, oltre all’infarto, che danno sintomi simili all’embolia polmonare, e tra queste c’è la polmonite, la crisi asmatica e anche, appunto, l’attacco d’ansia.

LE CAUSE

L’embolia polmonare o, più precisamente, la tromboembolia polmonare, si verifica quando in una vena del corpo (nel 90% dei casi si tratta di una vena delle gambe) si forma un coagulo di sangue (trombo) che si rompe per poi spostarsi, attraverso il flusso sanguigno, fino alle arterie polmonari (che portano il sangue dal cuore ai polmoni per ossigenarlo), ostruendole.
Anche le aritmie cardiache, come la fibrillazione atriale, se non diagnosticate e non controllate, possono essere causa di tromboembolica polmonare.  
Il trombo, che quando raggiunge i polmoni prende il nome di embolo, può ostruire completamente l’arteria polmonare impedendo il passaggio del sangue. Così i polmoni non possono svolgere la loro funzione in modo corretto e quindi iniziano a lavorare male.
Se l’ostruzione è completa e non viene risolta, determina l’infarto polmonare, che può avere come conseguenza estrema e peggiore (anche se non automatica) la morte.

I FATTORI SCATENANTI

I fattori scatenanti (che i medici definiscono “stressanti”) che possono determinare l’embolia polmonare sono numerosi: interventi chirurgici, traumi, obesità, assunzione dei contraccettivi orali, gravidanza, tumori maligni (anche non ancora diagnosticati), chemioterapia, lunghi periodi di immobilizzazione. Anche il fumo di sigaretta e l’età avanzata sono considerati fattori di rischio.
È stata dimostrata una predisposizione ereditaria alla formazione di trombi nel sangue (ipercoagulabilità ematica) che si può appurare attraverso un esame del sangue detto “fattore V di Leiden”. Questa analisi individua la presenza di una mutazione a carico del gene responsabile della coagulazione del sangue e quindi evidenzia una predisposizione al problema. L’esame prevede un semplice prelievo di sangue e ormai viene effettuato in tutti i laboratori di analisi.

LE CONSEGUENZE

L’embolia polmonare può avere conseguenze irreversibili, se l’ostruzione è severa e la cura non viene affrontata tempestivamente.
Oltre a questo, dopo un’embolia polmonare è possibile che si instauri un’ipertensione polmonare, cioè un aumento anomalo della pressione del sangue a livello dei polmoni, che può comportare gravi difficoltà respiratorie.
In questa eventualità l’unica soluzione radicale è rappresentata dalla tromboendoartectomia, un intervento chirurgico di rimozione del trombo che, anche se complesso, può rivelarsi risolutivo. L’operazione è comunque estremamente complessa ed espone a molti rischi durante l’esecuzione.

LA DIAGNOSI

Quando il medico sospetta un’embolia polmonare, la persona deve affrontare un iter diagnostico ben preciso. In primo luogo vengono effettuate delle analisi che valutano se nel sangue ci sono i segni di processi della coagulazione anomali.
Vengono poi effettuati vari altri esami: elettrocardiogramma, radiografia del torace, ecografia venosa degli arti inferiori, scintigrafia polmonare, ecocardiografia, Tc, emogasanalisi.
Una volta ottenuti i  risultati è quasi sempre possibile per il medico formulare la diagnosi, supportato anche dall’osservazione dei sintomi che rileva grazie alla visita, uno per tutti la difficoltà respiratoria. Solo se ci fossero ancora forti dubbi, il medico può prescrivere una indagine diagnostica invasiva: l’angiografia polmonare.

L’ angiografia polmonare è un esame riservato solo a casi selezionati.  L’indagine è invasiva, ma a volte i medici vi ricorrono per diagnosticare l’embolia polmonare. Si usa soprattutto quando i risultati delle altre indagine non invasive non sono riusciti a evidenziare il problema, ma il sospetto che sia presente rimane. 
L’esame prevede di inserire un catetere nella vena del femore, per poi raggiungere da essa con un mezzo di contrasto le arterie polmonari. Contemporaneamente viene effettuata una scansione con i raggi X grazie a cui è possibile individuare l’eventuale trombo. L’esame si esegue in circa 30 minuti. Il fastidio che procura è più che sopportabile.

LE CURE

La cura per risolvere l’embolia polmonare può essere preventiva, cioè rivolta a evitare l’infarto polmonare, oppure d’urgenza, che si attua nei casi più gravi, quando cioè vi è già in atto una compromissione del polmone.
La cura preventiva consiste nella somministrazione di anticoagulanti (per bocca e per iniezione): questi farmaci servono a sciogliere il trombo già esistente e, soprattutto, impediscono che aumenti di dimensione fino ad arrivare a ostruire l’arteria, nonché che si formino altri trombi.
La cura d’urgenza prevede sia l’impiego di anticoagulanti che servono a eliminare i coaguli, sia la somministrazione di ossigeno per evitare la morte del tessuto polmonare.
Ci sono casi in cui non è possibile somministrare gli anticoagulanti, per esempio perché c’è una emorragia in atto che peggiorerebbe, e che quindi richiedono altri provvedimenti.

Tra questi c’è la trombolisi che consiste nell’iniettare attraverso fleboclisi, quindi in una vena, un particolare farmaco (attivatore del plasminogeno tissutale ricombinante) che da un lato va a sgretolare il trombo fino a farlo dissolvere, dall’altro impedisce che se ne riformino altri. Questa cura ha però varie controindicazioni (traumi, interventi chirurgici subiti di recente) e come possibile effetto indesiderato l’emorragia cerebrale: quindi non può essere usata per tutti.