L’endometriosi
L’endometriosi è una malattia benigna (cioè non ha conseguenze irreparabili) che interessa circa il 10-20 per cento della popolazione femminile (il 5 per cento in Italia), in particolare nella fascia di età compresa tra i 25 e i 35 anni. Non si osserva invece né dopo la menopausa né prima della pubertà in quanto è influenzata dalle fluttuazioni ormonali che caratterizzano il ciclo femminile. È caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale, che normalmente riveste la cavità dell’utero, migrato in sedi diverse. La localizzazione più frequente è l’ovaio.
I sintomi
Il primo segno, appunto, è la localizzazione anomala del tessuto endometriale, che può svilupparsi, oltre che sulle ovaie, in vagina, peritoneo (sacca che riveste i visceri), vescica, intestino, ureteri. Molto più raramente l’endometrio raggiunge sedi lontane dall’utero, per esempio i polmoni.
Quando interessa le ovaie può determinare, su una o su entrambe, la formazione di cisti di dimensione variabile (da pochi millimetri fino a 10 centimetri). Queste, dette “endometriosiche” contengono piccole quantità di sangue mestruale in quanto le piccole porzioni di endometrio che crescono sulle ovaie producono sangue esattamente come quelle della cavità uterina.
La malattia può essere del tutto asintomatica, tant’è che a volte viene scoperta casualmente, per esempio nel corso di indagini approfondite sull’infertilità.
Talvolta, però, è caratterizzata da dolore anche persistente e può aggravarsi durante le mestruazioni, la minzione, l’evacuazione, i rapporti sessuali.
A volte nell’urina e nelle feci compaiono tracce di sangue. Possono associarsi irregolarità mestruale, stanchezza, febbricola, sbalzi d’umore (dovuti alla necessità di convivere con il dolore).
Le cause
Le cause dell’endometriosi non sono ancora ben chiare, anche se si ipotizza che il problema possa essere legato a tre fattori.
Il primo è il possibile reflusso nelle tube del sangue mestruale: di norma una certa quantità di sangue mestruale, entro il quale sono contenute cellule di endometrio, anziché fuoriuscire dalla cervice per essere espulsa all’esterno, risale nelle tube e da queste raggiunge le ovaie, le pareti del peritoneo, la vescica, l’intestino. Cellule endometriali trasportate dal flusso mestruale potrebbero poi fissarsi in alcune delle zone toccate, cominciando a proliferare su di esse.
La seconda ipotesi, che potrebbe spiegare almeno in parte la localizzazione dell’endometrio in sedi lontanissime dall’utero, per esempio polmoni o gambe, è quella secondo cui una piccola quantità di sangue mestruale potrebbe entrare nelle vene ed essere trasportato, con il suo contenuto di frammenti endometriali, in varie regioni del corpo. Anche in questo caso le cellule endometriali potrebbero iniziare a replicarsi in sedi anomale.
Per finire, è idea condivisa in ambito scientifico che esista una naturale predisposizione al problema, tant’è che è spesso l’endometriosi si riscontra in più donne di una stessa famiglia.
La diagnosi
Quando l’endometriosi non determina sintomi la si scopre casualmente durante una ecografia transvaginale di controllo o quando si indaga per cercare le cause di infertilità.
In particolare, accade in occasione di una laparoscopia. È un esame che consiste nell’introduzione, attraverso piccole incisioni praticate sull’addome, di una sonda a fibre ottiche collegata a un video, che permette di visualizzare con la massima chiarezza le tube e le ovaie o eventualmente di asportare frammenti di tessuto anomalo cresciuti in queste sedi, con lo scopo principale di analizzarne le caratteristiche.
Di endometriosi si può parlare con sicurezza, infatti, solo quando il tessuto asportato e poi esaminato in laboratorio è perfettamente identico a quello che riveste l’utero (endometrio).
Deve cioè essere costituito sia dal tessuto di sostegno dell’endometrio (stroma endometriale) sia dalle ghiandole endometriali (sono i piccoli organi che secernono le prime sostanze nutritive necessarie all’uovo fecondato durante l’annidamento nell’utero). In generale la laparoscopia individua segni che alla semplice ecografia possono sfuggire.
Da non confondere con l’endometrite
L’endometrite è un disturbo molto diverso dall’endometriosi. Si tratta infatti dell’infezione dell’endometrio nella sua sede naturale, la cavità uterina, di cui tappezza le pareti.
Ne sono responsabili batteri che possono raggiungerlo dall’esterno e aggredirlo. Tra questi ci sono la Clamidia, lo Stafilococco aureo, lo Streptococco, l’Escherichia coli, il Clostridium, la Klebsiella.
L’infezione è favorita dall’applicazione della spirale a scopo contraccettivo, dai raschiamenti (intervento di pulizia chirurgica della cavità uterina), dalle infezioni genitali dovute a una malattia a trasmissione sessuale.
I sintomi caratteristici sono tre: dolore forte, febbre alta, perdite vaginali grigio-verdastre di odore sgradevole.
Se l’endometrite non viene diagnosticata e curata entro pochi giorni dalla comparsa dei sintomi può estendersi dall’endometrio fino alle tube di Falloppio (condotti che mettono in comunicazione le ovaie con l’utero) e da esse alle ovaie, danneggiandole al punto da compromettere la possibilità di avere figli.
Si cura con gli antibiotici, che possono essere somministrati per bocca o, nei casi più severi, per via intramuscolare o endovenosa (iniezioni o fleboclisi). Il medico va consultato immediatamente dopo la comparsa dei sintomi.
Le conseguenze
La conseguenza più severa dell’endometriosi è l’infertilità, che si riscontra in circa il 30-40 per cento dei casi ed è probabilmente dovuta alle deformazioni che il tessuto cresciuto irregolarmente produce a livello dell’apparato genitale.
In più, l’endometriosi che coinvolge le ovaie può ostacolarne l’attività impedendo che si verifichi l’ovulazione.
Non è ancora chiaro per quale ragione possa comportare infertilità anche un’endometriosi lieve che, almeno in apparenza, non ha compromesso l’apparato genitale: l’ipotesi è che il disturbo crei una condizione di costante infiammazione che priva della sua originaria efficienza l’apparato riproduttore. In più, quando si associa il dolore, la qualità della vita della donna è fortemente compromessa.
Le cure
Un’endometriosi che non provoca disturbi e non ostacola la possibilità di avere figli non richiede cure.
Se invece il problema causa dolore o infertilità diventa necessario curarla, con farmaci o, in casi estremi, con la chirurgia.
* Quasi sempre in prima battuta si ricorre ai farmaci, a meno che la crescita di tessuto anomalo sia talmente significativa da interferire sulla funzionalità della vescica o da creare problemi a livello dell’uretra (canale che mette in comunicazione la vescica con l’esterno). In queste eventualità è necessario ricorrere subito all’intervento chirurgico.
Le cure farmacologiche atrofizzano (rimpiccioliscono) il tessuto endometriale proliferato in sede anomala. I farmaci più comunemente usati sono gli estroprogestinici, gli stessi del contraccettivo orale, che hanno il vantaggio di poter essere assunti per lunghi periodi. A volte vengono utilizzati derivati del testosterone (danazolo) oppure GnRH-agonisti, che bloccano l’attività delle ovaie determinando una condizione di menopausa artificiale (reversibile alla sospensione della cura).
È il medico che stabilisce quale sia il preparato più adatto al singolo caso.
Quando serve l’intervento
Se le cure con le medicine non danno risultati o se il tessuto endometriale è troppo esteso e invadente, si può ricorrere alla chirurgia, che permette di asportare radicalmente le formazioni di tessuto.
L’intervento viene generalmente condotto in laparoscopia, praticando piccolissime incisioni sull’addome. La chirurgia può consentire un recupero della fertilità in più della metà dei casi; tuttavia l’opportunità di ricorrervi deve essere valutata con grande attenzione perché la rimozione del tessuto endometriale anomalo a volte può comportare un danno dei tessuti sani: questo vale soprattutto se si deve intervenire sull’ovaio, che potrebbe andare incontro a una riduzione della sua efficienza. Tanto più il chirurgo è abile ed esperto quanto più diminuiscono i rischi di complicazioni e aumentano le probabilità di successo.
Per finire, da qualche tempo il San Raffaele di Milano ha messo a punto una nuova tecnica con il laser Co2 che consente di trattare le cisti endometriosiche salvaguardando al massimo la funzionalità dell’ovaio. Dell’efficacia della metodica hanno parlato diverse riviste scientifiche internazionali.