The Crown 5: la fine di una favola
Arriva su Netflix la stagione più attesa di The Crown, quella sul divorzio tra Carlo e Diana. Ed è già polemica
Va bene, non sarà un resoconto accurato degli eventi. Eppure sappiamo tutti che metà del divertimento nel guardare The Crown sia cercare di indovinare quanto sia sottile il confine tra finzione e realtà, in questa stagione più che mai. Siamo finalmente arrivati agli anni della disillusione, quelli del divorzio tra Carlo e Diana e della crisi di immagine della Corona stessa, affrontata con stoica determinazione da una Elisabetta II non più giovane ma non ancora pronta a cedere il trono al figlio.
E per quanto il cast si sia dimostrato compatto nel liquidare le critiche – non si tratta di un documentario, hanno ribadito sia Imelda Staunton che Elizabeth Debicki (le nuove Elisabetta e Diana) – i tabloid inglesi hanno soffiato sul fuoco dell’indignazione, sottolineando quanto poco opportuno possa essere insinuare che Carlo abbia tramato per impossessarsi del trono a due mesi dalla morte della Regina.
Troppo sensazionalismo
La più lapidaria è stata Judi Dench, molto vicina alla famiglia reale, accusando la serie di aver messo da parte l’accuratezza storica in favore del crudo sensazionalismo in una lettera aperta al Times. È certa che gli inglesi sappiano distinguere la fiction dalla realtà, ma non è così sicura che il pubblico oltreoceano sia altrettanto preparato. Le sarebbe piaciuto che Netflix rimarcasse questa differenza con un disclaimer, “almeno come segno di rispetto verso una nazione in lutto e una sovrana che ha servito il suo paese per 70 anni”, ma è riuscita solo a ottenere un accenno nel trailer.
Dal canto suo, Jonathan Pryce – che nella serie interpreta Filippo – ha difeso l’integrità artistica della sceneggiatura e soprattutto l’intelligenza dei suoi spettatori, a cui non serve alcun richiamo paternalistico alla realtà. Più conciliante Lesley Manville, l’ultima a ereditare il ruolo della principessa Margaret, pronta ad ammettere che la quinta stagione urterà la sensibilità di qualcuno.
Ma lo scopo di The Crown è sempre stato mostrare il lato più umano della famiglia reale, quello che normalmente la gente non può vedere.
La disillusione di Diana
Il tasto più dolente rimane il divorzio, dallo scandalo “tampongate” – una telefonata intima tra Carlo e Camilla, intercettata nel 1989 e resa pubblica nel 1993 da People – alla celebre intervista estorta a Diana nel 1995, poi bandita dalla BBC. Temi delicati, forse troppo per la sensibilità di chi vede in questa stagione un’ulteriore conferma dell’insistenza morbosa della stampa su tutti i sordidi dettagli di una vicenda che avrebbe dovuto rimanere privata.
Prima l’abbandono di Jemima Khan, amica intima di Diana che Peter Morgan aveva coinvolto nel progetto proprio per avere un ritratto più accurato della principessa triste, così contrariata dalla piega che ha preso la sceneggiatura da non volerne sapere più niente, anzi, lasciando intendere che la serie abbia sacrificato compassione e rispetto sull’altare del pathos. Poi le polemiche sulla scelta di includere nella serie non solo un intero episodio dedicato ai retroscena della famigerata intervista – pare che Martin Bashir abbia convinto Diana a parlare alimentando l’idea di un complotto reale contro di lei, condito da una tresca di Carlo con la babysitter – ma soprattutto i suoi ultimi momenti di vita prima dell’incidente, al cuore della prossima stagione. In realtà sembra che le accuse di cattivo gusto siano un tantino esagerate: non verrà mostrato il momento dell’impatto, ma solo la macchina che lascia il Ritz inseguita dai paparazzi.
Una decisione d’impulso
Elizabeth Debicki questa responsabilità l’ha sentita eccome. Come ha raccontato al Guardian, sperava di far parte del cast di The Crown già dalle prime stagioni, ma in lei i produttori devono aver visto qualcosa di Diana. Quando è stata richiamata non ha voluto rifletterci troppo, ha accettato e basta. E si è messa al lavoro già nel 2020 per studiare il ruolo, confrontandosi con Emma Corrin e preoccupandosi di non essere all’altezza di una parte impossibile. Imitare la sua voce, i suoi movimenti, indossare il revenge dress che segna l’evoluzione di Diana da idealista con il cuore spezzato a donna forte e indipendente, in grado di riprendere il controllo di una narrativa che avrebbe potuto dipingerla come paranoica e instabile. A convincerla del tutto è stata proprio la sceneggiatura, in grado di mostrare con empatia entrambi i punti di vista.
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