Flamenco, fra tradizione e modernità
Passi e movenze di questa danza folkloristica spagnola esprimono sentimenti e raccontano storie, spesso creando inedite contaminazioni con il mondo contemporaneo, e impararli ha qualcosa di terapeutico
Quando pensiamo al flamenco, ci vengono subito in mente il gioco di percussioni dei piedi a terra (zapateado), i movimenti caratteristici delle braccia (braceo), lo svolazzare degli abiti tradizionali a balze e il ticchettare delle nacchere. Ma il più famoso tra i balli tradizionali spagnoli è molto più ricco e sorprendente rispetto a questi elementi conosciuti da tutti: è una danza davvero piena di sorprese e tutta da scoprire, attraverso i corsi che si tengono nelle scuole di tutta Italia. Lo racconta Manuela Iannelli (nella foto sopra), ballerina, insegnante e coreografa di flamenco, che abbiamo incontrato a Firenze durante la sua partecipazione alla rassegna Duende, nell’edizione 2024 di Danzainfiera.
Ogni coreografia, semplice o articolata, viene cucita dall’insegnante addosso al gruppo che la esegue e chi prova questo ballo se ne innamora molto rapidamente.
Per raccontare i sentimenti
Nel flamenco c’è sempre un racconto. I diversi stili di questa danza, chiamati “palos”, sono legati a ritmi musicali e a sentimenti diversi: possono parlare di storie d’amore, di tradimento, di morte, esprimere malinconia o rabbia, e i ballerini vanno a cercare nel profondo del proprio vissuto interiore le emozioni da trasmettere al pubblico attraverso l’esecuzione della coreografia. Non ci sono gesti o passi specifici per esprimere l’una o l’altra emozione: il racconto avviene attraverso un’interpretazione di volta in volta diversa delle movenze tipiche di questo ballo.
L’insegnante ci spiega che le storie evocate e narrate dalle coreografie possono ispirarsi ai sentimenti eterni che vivono nell’animo umano, al repertorio del folklore locale spagnolo, ma possono anche essere moderne e innovative. È ciò che avviene nello spettacolo “Terra e core” di Manuela Iannelli e Antonio Campaiola, che debutterà a Napoli il 17 marzo al teatro Bolivar e che, già dal titolo, suggerisce l’ambientazione contemporanea in un mondo diverso da quello di origine del ballo: il capoluogo partenopeo. La storia raccontata è quella dell’amore difficile fra una giovane sivigliana e un ragazzo napoletano, fra spaccio di droga, clan e malavita, e dimostra come l’arte e il linguaggio del flamenco permettano anche contaminazioni fra la cultura di provenienza e storie attuali di una regione tanto lontana, nel tempo e nello spazio.
Imparare ad esprimere il duende
Nel flamenco l’interpretazione è tutto, assicura l’esperta, e per questo all’inizio ci si può sentire spaesati, impacciati e insicuri. A poco a poco, però, apprendendo i passi e la tecnica, si impara anche a far emergere e a “utilizzare” le emozioni più profonde per dare coloriture diverse ai gesti: è quello che nella cultura spagnola si chiama “duende”, una forza che viene da dentro, ammalia e fa emozionare chi guarda. Questo lavoro ha una fortissima valenza terapeutica, perché libera emozioni represse e soffocate, paure, false immagini di sé. «Dal secondo anno di studio le allieve si trasformano: si vedono più belle, sicure e si sentono finalmente più libere» assicura Iannelli.
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