Disgusto a tavola e non solo: perché è un importante alleato
Il disgusto è un sentimento più nobile di quanto crediamo. Protegge dai pericoli e si assicura che tutti seguano le regole
Vi siete mai chiesti a cosa serve il disgusto? Antropologi, biologi e psicologi hanno approfondito le origini di questo sentimento scoprendo che è necessario alla nostra sopravvivenza quanto la paura o la gioia.
Charles Darwin è stato tra i primi a suggerire che il disgusto potesse essere un meccanismo di protezione, associato al pericolo di ingerire cibo avariato o contaminato.
Una questione di cattivi odori e cattivi sapori, tanto che le nostre espressioni richiamano proprio l’olfatto e il gusto: anche quando a disgustarci è un concetto, la prima cosa che facciamo è arricciare il naso e storcere la bocca. Oggi sappiamo che questa intuizione si è rivelata corretta, provando che il disgusto tutto sommato non è sempre arbitrario.
L’architettura del disgusto
Secondo molti studiosi, il disgusto svolge una funzione precisa. Una delle più famose “disgustologhe” del mondo, la scienziata Val Curtis della London School of Hygiene and Tropical Medicine, aveva classificato in uno studio del 2018 le sei categorie che più facilmente suscitano questa reazione. Ovvero scarsa igiene, animali che possono veicolare malattie (come ratti e scarafaggi), comportamenti sessuali promiscui, aspetto atipico, lesioni o segni visibili di infezione e cibo ammuffito o guasto. Grazie al disgusto siamo in grado di modificare il nostro comportamento e proteggerci da infezioni e contagio, aveva raccontato al Guardian, esattamente come suggeriva Darwin. In altre parole, il disgusto ci insegna che non è una buona idea mangiare cibo andato a male, infilare le dita in una piaga o coccolare animali che potrebbero trasmettere malattie.
In più, il disgusto diventa anche un modo per veicolare proibizioni morali o sociali. La vergogna associata all’essere considerati “disgustosi” incoraggia a rispettare le regole di convivenza civile… come non mettersi le dita nel naso in pubblico o mettere la mano davanti alla bocca quando si sbadiglia. Certo, non sempre il disgusto va assecondato. Proprio come la rabbia e la paura, va gestito con consapevolezza e non sempre è un criterio affidabile per formulare giudizi.
Il ruolo della cultura
Quando si tratta di cibo, alcune resistenze sono più culturali che istintive. Molti europei inorridiscono all’idea di assaggiare gli insetti, anche se trovano molto appetitosi gamberi, vongole e lumache della cucina regionale spagnola, italiana e francese. Allo stesso tempo, alimenti che noi consideriamo del tutto banali potrebbero suscitare brividi di disgusto in chi non è abituato a consumarli. Un esempio? Negli anni ’30 l’antropologo americano Robert Lowie si stupiva dell’inveterata avversione nei confronti del latte di tutto l’Oriente asiatico. Mentre negli Stati Uniti un bel bicchierone di latte era considerato il rimedio per tutti i mali, dall’ulcera all’insonnia, in paesi come Cina e Indonesia l’idea di bere le secrezioni ghiandolari di un altro animale era considerata piuttosto repellente.
Dai, solo un pezzettino…
E poi ci sono le allergie, che in alcuni casi sono accompagnate da una reazione istintiva di repulsione verso gli alimenti che potrebbero causare una reazione immunitaria. Può dipendere dal ricordo di sensazioni come il bruciore o il prurito alla gola associate a quel particolare alimento, magari assaggiato da bambini dietro l’insistenza di genitori o nonni, o perché persino l’odore risulta fastidioso. Un modo come un altro di proteggersi dalle minacce nascoste in natura, anche se non è detto che provare disgusto sia sempre un campanello d’allarme per intolleranze e allergie alimentari. A volte è solo una questione di preferenze personali, ma nel dubbio è sempre meglio non insistere perché tutti assaggino proprio tutto…
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