Caffè: per colpa dei cambiamenti climatici rischia di sparire
I ricercatori stanno provando a migliorare la resistenza dell'arabica alle temperature più elevate. C'è anche da affrontare la diffusione di nuovi parassiti e malattie
I prossimi trent’anni saranno cruciali per l’agricoltura mondiale, ma soprattutto per i 125 milioni di persone il cui sostentamento dipende dalla coltivazione e dalla distribuzione del caffè. Il cambiamento climatico è infatti una seria minaccia per le due varianti più diffuse della pianta, l’arabica e la robusta, entrambe vulnerabili all’innalzamento delle temperature e all’instabilità dei cicli delle piogge.
Il futuro della nostra tazzina quotidiana è nelle mani degli esperti, alla ricerca delle tecniche migliori per garantire la sopravvivenza delle piante di caffè in un mondo più caldo e più asciutto.
Le sfide da affrontare
La missione della World Coffee Research, società non-profit che annovera tra i suoi sostenitori molte note marche di caffè, anche italiane, consiste nell’unire gli sforzi dell’industria, dei coltivatori e della comunità scientifica per affrontare al meglio i cambiamenti attuali e futuri. La sfida più complessa riguarda la prova di resistenza a cui sarà sottoposta l’arabica: attraverso il progetto di sequenziamento del genoma – condotto dalle Università di Padova e Trieste e dall’Istituto di genomica applicata di Udine – i ricercatori stanno cercando di migliorare le sue capacità di adattamento, in previsione delle condizioni sfavorevoli in cui verrà coltivata. Nel 2050 le nostre varianti preferite potrebbero perdere il 46-49% dei terreni adatti alla loro crescita, un rischio particolarmente concreto per le vaste aree di Brasile e Vietnam che attualmente ne ospitano le piantagioni. Per scongiurare la penuria di caffè la ricerca ha rivolto la sua attenzione anche alle 30 varianti meno diffuse di coffea, contando sulla biodiversità per trovare alternative più resistenti e altrettanto gustose. Tra gli effetti collaterali del cambiamento climatico a cui si cerca di trovare una soluzione c’è anche la diffusione di parassiti e malattie, favorite dall’aumento di temperatura: sono la “ruggine del caffè”, malattia fungina provocata dall’hemileia vastatrix, e il piccolo insetto infestante che ama deporre le sue uova nelle bacche, guastandole dall’interno.
A chi mancherebbe di più?
Rinunciare al rituale del caffè mattutino metterebbe a dura prova l’umore di chiunque, ma gli italiani potrebbero cavarsela meglio di tanti altri. Le classifiche mondiali sul consumo pro-capite mettono ai vertici i cittadini di Paesi Bassi, Finlandia, Svezia, Danimarca e Germania, mentre quelli di Italia e Turchia – che nell’immaginario comune si contendono la paternità del caffè fatto “come si deve” – tendono a mettere la qualità davanti alla quantità.
Tra sacro e profano
Se una tazzina di caffè ha il potere di rimettervi al mondo, sappiate che anche i mistici sufi lo utilizzavano nei loro rituali notturni, per trascendere il mondo materiale e trovare la pace. Anche prima della torrefazione dei chicchi (di cui i veneziani possono attribuirsi gran parte del merito) la variante arabica, originaria dell’Etiopia e addomesticata in Yemen, si è dimostrata particolarmente utile come stimolante contro la fatica, sotto forma di bevanda, di burro o semplicemente di bacche da masticare. Secondo la leggenda, a scoprire le potenzialità di questa pianta sono state le capre. Grazie a loro i pastori hanno prestato attenzione alle piccole bacche rosse che le rendevano temporaneamente iperattive, scoprendo poi che i chicchi arrostiti sprigionavano l’aroma meraviglioso che associamo al caffè.
Paese che vai…
I modi di preparare e gustare il caffè sono davvero tantissimo. I puristi dell’espresso, già pronti a storcere il naso davanti al caffè olandese o tedesco, potrebbero non sopravvivere all’impatto culturale con l’originalità dei finlandesi. Il Kaffeost, momento di relax da condividere con gli amici, viene servito in tazze di betulla e accompagnato da pezzettini di formaggio (il leipäjuusto), immersi nel caffè bollente.
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