Maladaptive eating: la dieta in pandemia
Difficoltà a perdere le cattive abitudini assimilate in lockdown? Non siete le uniche. E non è solo una questione di impegno
Stress e apprensione non sono amici della dieta. Figuriamoci se la situazione si protrae per oltre un anno e in tutto il globo.
Un effetto collaterale messo in evidenza già lo scorso autunno dall’analisi di Coldiretti, secondo cui il 44% degli italiani è aumentato di peso dall’inizio dell’emergenza e il contenuto dei carrelli della spesa si è adeguato alla voglia di togliersi almeno qualche soddisfazione in cucina.
Stesso scenario negli Stati Uniti, dove alcuni esperti attribuiscono l’aumento di abitudini alimentari malsane all’effetto combinato delle nuove modalità di lavoro, della mancanza di attività fisica e della tendenza a cercare sollievo nel cibo.
La ricerca di sollievo
In un articolo apparso su Psychology Today, la dietologa Judith Wurtman sostiene la necessità di un approccio multidisciplinare all’aumento di peso in pandemia, coinvolgendo anche gli esperti in salute mentale. Le nuove modalità di lavoro e di didattica a distanza hanno incoraggiato uno stile di vita più sedentario, complice anche la chiusura di piscine e palestre. Certo, sovrappeso e obesità sono in aumento nei paesi occidentali già da prima dell’emergenza. Tuttavia, lo stress cronico causato dall’isolamento e dalla paura di ammalarsi o perdere i propri cari non può essere ignorato tra i fattori che rendono così forte la tentazione di consolarsi con il comfort food. La solita dieta potrebbe non essere sufficiente per rimettersi in sesto, soprattutto se si soffre di disturbi dell’umore. Appellarsi genericamente alla forza di volontà non basta e può invece alimentare lo stigma che colpisce chi soffre di ansia e depressione.
Dov’è la mia ricompensa?
Che le abitudini malsane in fatto di alimentazione non siano così facili da abbandonare non è una novità. Un articolo pubblicato nel 2018 su Frontiers in Psychology si interroga sulla possibilità di utilizzare tecniche di mindfulness per correggere comportamenti che rendono le diete tradizionali poco efficaci. A rendere più complicato il rapporto con il cibo nel mondo contemporaneo sono anche i messaggi contraddittori che pubblicità, televisione e social media forniscono in fatto di alimentazione.
Chi mangia troppo e chi troppo poco
I ricercatori suggeriscono che l’esposizione continua a stimoli opposti possa alterare i processi di apprendimento legati alla ricompensa. Lasciarsi andare e godersi la vita o imporsi regole rigidissime per ostentare una volontà ferra sono due facce della stessa medaglia. Nel primo caso non si mangia per fame ma per associazione di idee tra alcuni alimenti (spesso ipercalorici e decadenti) e la felicità o la consolazione, nel secondo si alternano fasi di ascetismo puro in cui il cibo negato diventa un miraggio carico di promesse a crolli dell’inibizione in cui si mangia troppo (e male) per compensare le privazioni. Lo stress e le abitudini malsane diventano parte di un unico circolo vizioso, che si conclude con il sollievo temporaneo garantito dal cibo altamente gratificante proprio perché iperlavorato e ricco di grassi, zuccheri e sale. E diventa sempre più difficile distinguere la fame vera e propria dal bisogno di sentirsi meglio.
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