Revenge bedtime procrastination: anche tu vai a letto sempre più tardi?
Orari di lavoro troppo lunghi, giornate monotone e tanta frustrazione: così rimandare il momento di andare a dormire diventa una piccola rivincita. Che però può dare problemi alla linea e alla salute
Per chi lavora fino a tardi specie in tempi di smartworking e ha a malapena il tempo per una doccia e un pasto veloce, hobby e passioni sembrano diventare un lontano miraggio. E figuriamoci la possibilità di coltivare relazioni, dedicare attenzione e affetto a partner e figli, intravedere i propri genitori più a lungo del canonico scambio di saluti al telefono infrasettimanale, magari coperto dal frastuono del traffico.
Quando gli impegni finiscono per coprire gran parte delle ore di veglia, la soluzione adottata da molti giovani è di sottrarre ore preziose al sonno pur di non sentirsi incastrati in una routine di soli doveri.
Un puntiglio che spinge a restare svegli fino a tardi anche quando non si hanno le energie per fare nient’altro che guardare serie tv o perdersi nei meandri di TikTok.
Sovraccarichi e scontenti
Questa tendenza a cercare la rivincita nell’insonnia è stata battezzata “revenge bedtime procrastination” (per noi “procrastinazione della buonanotte”), seguendo la traduzione proposta dalla giornalista statunitense Daphne K. Lee. I primi a dare un nome al fenomeno sono stati i millennial cinesi, esasperati dai turni di lavoro che spesso gravitano intorno alle 12 ore piene e alla ricerca di un modo per riconquistare spazi di libertà. In un lungo articolo sul tema, lo scrittore e giornalista britannico Lu-Hai Liang riassume il rapido successo di questa definizione tra le moltitudini di lavoratori che in tutto il mondo condividono la frustrazione per l’erosione sistematica del loro tempo libero. Dipendenti o freelance, in presenza o da remoto, asiatici o europei, fa davvero poca differenza: il famoso equilibrio tra lavoro e vita privata sembra essere definitivamente saltato, anche prima della pandemia.
Weekend con jet lag
Se durante la settimana scegliamo di sacrificare ore di sonno per sentirci di nuovo padroni del nostro tempo, nei giorni liberi la nostra igiene del sonno non migliora. Sapere di poter rimanere a letto più a lungo la mattina invoglia a fare le ore piccole, magari per recuperare un po’ di quella vita sociale di cui abbiamo estremo bisogno. Ed ecco spuntare il social jet lag, come se attraversando la soglia del venerdì sera entrassimo in un nuovo fuso orario. Per poi rientrare di lunedì nella solita routine, provando la stessa sensazione di disorientamento di chi è appena sceso da un aereo dopo un viaggio dall’altra parte del mondo.
Ritmi insostenibili
Quando ignoriamo i bisogni del nostro corpo a farne le spese è tutto l’organismo. Secondo gli esperti, la privazione di sonno cronica legata a orari anomali di lavoro, social jet-lag e turni di notte ha ripercussioni sull’umore e sul metabolismo, oltre a rappresentare un fattore di rischio per problemi cardiovascolari, ipertensione e diabete. Ne risente anche la concentrazione, aumentando le probabilità di incidenti sul lavoro o alla guida. Ecco perché l’ulteriore spinta verso la riduzione delle ore di sonno è sconsigliata, anche se sul momento sembra gratificante. La vera soluzione? Ripensare il lavoro perché sia di nuovo compatibile con la vita privata, il che – come dimostrano gli esperimenti islandesi sulla settimana “corta” – non significa affatto rinunciare alla produttività.
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