Pocketing: quando state insieme ma nessuno lo sa
Nel nuovo lessico delle relazioni c’è anche il pocketing, ovvero l’atteggiamento di chi preferisce tenere il proprio partner lontano da amici e famiglia. E il rischio è quello di sentirsi svalutati
Di tutte le bizzarre tendenze del dating, questa è la più riposante. Niente foto insieme sui social, niente uscite di gruppo da organizzare, nessuna domanda ansiogena sui piani per Capodanno né pranzi della domenica a casa di mamma.
Solo cenette romantiche e weekend fuori porta vissuti in completa intimità, come se al mondo non esistesse nessun altro. E intanto passano i mesi, o magari gli anni.
Finché non si ha la netta sensazione di essere tenute a distanza, senza mai partecipare davvero alla vita dell’altro.
Perché fare pocketing?
La conclusione più cinica è quella che porta a pensare che una fidanzata ufficiale ci sia già, se non magari una moglie. Una possibilità da non escludere, soprattutto se oltre a nicchiare sull’eventualità di conoscere genitori e migliori amici c’è anche una forte resistenza verso foto e tag.
Non è detto però che il pocketing sia sempre un campanello d’allarme. A volte si tratta solo di legittime preferenze sui tempi e i modi in cui fare progredire la relazione, in altri casi possono mettersi in mezzo ansia e apprensione. La descrizione migliore di questo scenario la fornisce Sally Rooney in Persone normali (Einaudi): Connell e Marianne si innamorano già al liceo, ma lui sceglie di tenere la loro relazione segreta per paura del giudizio degli altri. In questo modo invece tutto resta tra loro, anche le cose imbarazzanti o difficili.
Non sentirsi mai pronti
C’è anche chi ha semplicemente paura di impegnarsi, rimandando il più possibile il momento in cui si passa da una relazione casual a una più stabile. A livello sociale, una possibile spiegazione per tutto questo titubare può essere ricercata nel passaggio da un modello sentimentale regolato da obblighi e doveri – in primis verso le rispettive famiglie e la collettività – a un modello di libera scelta e aspirazione alla felicità. La psicoterapeuta belga Esther Perel ha coniato il termine “ambiguità stabile” per definire quella situazione in cui si ha troppa paura di restare da soli ma non si è davvero pronti a costruire una vera intimità. Così si mettono a punto una serie di tattiche che prolungano l’incertezza di una relazione ma anche l’incertezza di una rottura, alternando freddezza e creazione di aspettative.
I rischi per l’autostima
Un conto è decidere insieme di essere fatti per le relazioni a compartimenti stagni, di optare con assoluto pragmatismo per la separazione dei beni e delle amicizie e di voler essere così generosi da offrire alla dolce metà un biglietto esci-gratis-di-prigione per tutte le incombenze di famiglia, matrimoni e funerali inclusi. Un altro è ritrovarsi senza volerlo in una relazione che sembra esistere solo a porte chiuse, anche se ormai si è esaurito il periodo della luna di miele.
A seconda della sensibilità personale, lasciarsi cucire addosso il ruolo dell’amante misteriosa può essere molto romantico o molto doloroso. Non è bello avere la sensazione di essere un segreto, o peggio ancora quella di non essere abbastanza importanti da meritarsi un giro di presentazioni. In questi casi, affrontare il problema potrebbe essere una scelta migliore rispetto a soffrire in silenzio. Purché lo si faccia in tono leggero e curioso, senza puntare il dito o giungere a conclusioni affrettate.
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