La talassemia
Si tratta di una malattia di cui si sente parlare abbastanza spesso, ma che pochi conoscono davvero. La talassemia è caratterizzata da un’anemia cronica di gravità variabile conseguente a una mutazione dei geni codificanti l’emoglobina, la molecola responsabile del trasporto di ossigeno nell’organismo.
Che cosa è
Per talassemia si intende in realtà un gruppo di diverse malattie ereditarie, di cui le più frequenti sono la alpha e la beta, presenti fin dalla nascita e trasmesse dai genitori (portatori sani della malattia) ai figli.
Tutte le forme di talassemia sono caratterizzate da anemia cronica di gravità variabile causata da un difetto nella produzione di emoglobina (i valori normali sono circa 13-15 grammi per decilitro di sangue), la proteina che si trova all’interno dei globuli rossi e che trasporta l’ossigeno ai vari tessuti. Questi sono più piccoli del normale, con una morfologia anomala e con una vita media molto inferiore al normale.
Alla base c’è un difetto dei geni trasmessi dalla madre e dal padre che regolano la produzione delle globine (alpha e beta), le proteine che partecipano alla formazione dell’emoglobina. A causa di questo difetto, la quantità e la qualità di emoglobina presente nell’organismo dei portatori di anemia mediterranea risulta inferiore ai valori indispensabili per una corretta ossigenazione. Non solo: l’emoglobina patologica crea gravi danni ai globuli rossi che si distruggono precocemente (fenomeno chiamato emolisi).
Fino a qualche anno fa chi era affetto dalle forme più gravi di talassemia aveva un’aspettativa di vita molto inferiore al normale e andava incontro a numerose complicanze dovute soprattutto all’accumulo di ferro nei tessuti (legato alle frequenti trasfusioni necessarie per mantenere una adeguata ossigenazione). Oggi, invece, seguendo in modo costante le cure disponibili, le aspettative di vita sono paragonabili a quelle di una persona sana.
Due forme principali
Nell’area mediterranea è diffusa la talassemia beta, che a sua volta può manifestarsi in due forme principali: la talassemia minor e la talassemia maior.
Talassemia minor
Se la persona ha ereditato la malattia da un solo genitore e di conseguenza ha un solo gene alterato, è colpita da talassemia minor.
È la forma meno seria e non può essere considerata una vera e propria malattia: l’emoglobina in circolo risulta ridotta, ma comunque è in quantità sufficiente per garantire il fisiologico funzionamento dell’organismo. I globuli rossi saranno comunque più piccoli della media e con meno emoglobina, ma in numero superiore al normale.
La persona affetta da talassemia minor è un portatore sano. I figli possono risultare affetti solo se entrambi i genitori sono portatori.
Talassemia major
Si è in presenza di talassemia major quando la persona eredita la malattia da entrambi i genitori e, quindi, ha entrambi i geni malati.
È la forma più grave perché l’organismo non è in grado di sintetizzare una quantità sufficiente di emoglobina e in certi casi il grado di anemia può essere estremo e, se non corretto, diviene incompatibile con la vita.
I portatori sani
Chi è affetto da talassemia minor è un portatore sano della malattia: di conseguenza non presenta alcun tipo di problema e può condurre una vita assolutamente normale.
Nel momento in cui decide di avere un figlio, però, deve essere cosciente del fatto che può trasmettere la malattia al nascituro. Le probabilità sono molto più alte nel caso in cui entrambi i genitori siano portatori sani.
Se solo uno dei due genitori è portatore, la metà dei figli eredita un gene normale e uno portatore di talassemia (essi saranno perciò dei “portatori sani” della malattia), mentre l’altra metà eredita due geni normali.
E quando entrambi i genitori sono portatori? Ecco cosa può succedere:
– se entrambi i genitori trasmettono il gene malato, il piccolo nascerà affetto da talassemia maior, cioè dalla malattia vera e propria (25 per cento delle possibilità);
– se uno dei genitori trasmette un gene sano e l’altro un gene malato, anche il piccolo sarà portatore sano di anemia mediterranea (si verifica nel 50 per cento dei casi);
– se sia il padre sia la madre trasmettono il gene sano, il bimbo nascerà perfettamente sano (25 per cento dei casi).
I sintomi
Le persone affette da talassemia major nascono con il difetto genetico specifico.
In genere, la malattia compare dopo la nascita, quando l’organismo inizia a formare l’emoglobina matura o adulta.
I primi sintomi sono aspecifici e legati proprio alla carenza di emoglobina: stanchezza, malessere, rialzi termici o disturbi della dentizione.
* Il campanello d’allarme per i genitori scatta però quando il colorito inizia a diventare sempre più pallido. Nelle fasi conclamate della malattia si osservano i segni inconfondibili della talassemia: aumento del volume della milza e del fegato, addome gonfio e sporgente, ispessimento delle ossa facciali e della teca cranica. Tali situazioni si verificano per il tentativo del midollo di produrre più globuli rossi. Fegato e milza si ingrandiscono perché cercano di riacquistare la funzione ematopoietica presente in età fetale. Inoltre, nella milza avviene anche la distruzione delle emazie alterate.
Le cure
Per combattere la talassemia major, bisogna sottoporsi a trasfusioni di globuli rossi, anche molto frequentemente. È l’unico modo per fornire all’organismo l’emoglobina che non riesce a produrre da solo.
Con le trasfusioni, però, nell’organismo si accumula ferro inutilizzato. In un organismo sano, infatti, il ferro contenuto nei globuli rossi che muoiono (i globuli rossi hanno una durata media di vita di circa quattro mesi) viene recuperato e utilizzato per produrre nuovi globuli rossi.
In caso di talassemia major, invece, c’è un turn over molto accelerato dei globuli rossi, che vengono prodotti e distrutti in grande eccesso, processo che libera molto ferro che va a depositarsi in tutti gli organi, in particolare fegato e cuore, con effetti molto dannosi (come insufficienza cardiaca ed epatica).
* Per queste ragioni, le trasfusioni vengono associate alla “terapia ferro-chelante”, con farmaci che permettono di eliminare l’eccesso di ferro attraverso le urine e le feci. Il farmaco chelante tradizionale, la desferoxamina, che richiedeva l’infusione continua sottocute con pompe, è stato sostituito da farmaci per bocca, più efficaci e tollerati (deferasirox).
Il trapianto allogenico (da donatore)
Sebbene efficaci, le trasfusioni e la terapia chelante non guariscono la malattia: ne limitano i danni, ma devono essere continuate per tutta la vita.
Una soluzione definitiva alla talassemia è rappresentata dal trapianto di cellule staminali emopoietiche, che hanno sede nel midollo osseo e sono in grado di produrre tutte le cellule del sangue, da donatore compatibile.
Possono essere prelevate dal sangue del cordone ombelicale che unisce la madre al bambino durante il periodo fetale (esistono delle banche in cui si conservano a bassissima temperatura in attesa di essere utilizzate per un paziente), da fratelli o da donatori volontari che esprimono l’intenzione a donare e i cui dati di compatibilità (Hla) sono acquisiti e conservati in appositi registri.
Il programma trapiantologico è molto impegnativo sia per il paziente sia per il centro ematologico coinvolto, ma le probabilità di successo, pur dipendendo da molte variabili, sono molto alte.
Le cellule staminali utilizzate devono presentare in tutti i casi una compatibilità Hla con il ricevente, nel quale saranno iniettate come una semplice trasfusione in una vena dopo adeguata preparazione con cicli complessi di chemioterapia.
I mesi successivi saranno cruciali per il successo e sarà necessario un continuo contatto tra i medici e il paziente per affrontare tutte le possibili numerose e potenzialmente molto gravi complicanze in modo assolutamente tempestivo.
Se le cellule staminali trapiantate attecchiscono, l’organismo del paziente inizierà a produrre tutti gli elementi del sangue, compresi i globuli rossi, senza difetti genetici.
Cosa sono le cellule staminali emopoietiche
Le staminali costituiscono un tipo di cellule non ancora programmate a svolgere una funzione specifica; in teoria, quindi, possono diventare qualsiasi tipo di cellula e svolgere funzioni diverse. Nel caso delle cellule staminali emopoietiche (o ematopoietiche), queste si differenziano in tutti gli elementi del sangue.
Il limite più grande per l’impiego di questo tipo di cellule è rappresentato dal fatto che esse, dopo il trapianto, possono aggredire il ricevente, tramite un fenomeno chiamato “malattia di rigetto del trapianto verso l’ospite”. Tale fenomeno si verifica in quanto le cellule staminali ematopoietiche producono cellule immunologiche. Quindi, con il trapianto allogenico il paziente riceve delle cellule che creeranno un sistema immunologico diverso e che, pertanto, riconoscerà tutti gli organi del ricevente come “estranei”.
Ecco perché è molto importante che ci sia, nel caso della Talassemia, la maggiore uguaglianza del sistema Hla tra donatore e ricevente, al fine di ridurre le reazioni immunologiche contro l’ospite. Queste richiedono un’importante terapia immunosoppressiva dopo la procedura trapiantologica.
Come si svolge l’intervento
Il trapianto di cellule staminali da midollo osseo consta di più fasi.
Per prima cosa si seleziona un donatore compatibile con la persona malata, quindi, dopo opportuna preparazione, si effettua il prelievo dalle creste iliache o dal sangue periferico. Nel primo caso, si fa una piccola puntura nelle ossa del bacino, attraverso la quale si preleva sangue midollare (che contiene staminali).
Nel caso si effettui il prelievo dal sangue periferico, si utilizza un apposito macchinario: attraverso una vena sistemata nel braccio si preleva il sangue, che viene convogliato in una centrifuga che isola le cellule staminali, mentre il resto del sangue viene reinfuso dal braccio opposto.
* Nel caso si opti per la seconda tecnica, nella maggior parte dei casi le cellule staminali emopoietiche vengono indotte a “traslocare” dal midollo osseo al sangue grazie all’uso di fattori di crescita specifici, somministrati qualche giorno prima del prelievo. Si tratta, infatti, di farmaci in grado di rendere più rapida la crescita delle cellule staminali e di facilitarne il passaggio dalle ossa al sangue periferico.
Dopo il prelievo, si può procedere con il trapianto nel ricevente (che è stato preparato in modo adeguato, in genere con una cura chemioterapica, eventualmente associata anche a radioterapia, finalizzate a distruggere le cellule malate o il midollo geneticamente inefficace): attraverso un catetere venoso centrale, sistemato nel collo o nella spalla, si infondono le cellule staminali prelevate dal sangue periferico oppure dal midollo del donatore.
Le cellule trapiantate iniziano a circolare e, quando arrivano nel midollo osseo, si “accasano” perché scoprono che si tratta di una sede loro congeniale. Dopo 10-20 giorni, il nuovo midollo attecchisce e inizia a funzionare, producendo le cellule del sangue.
L’autotrapianto
Il trapianto delle cellule staminali del midollo può essere anche di tipo autologo: le cellule cioè non vengono prelevate non da un donatore esterno, ma dalla persona stessa, in un momento favorevole della sua malattia (per esempio, dopo una cura efficace).
In questo caso, le cellule possono essere sottoposte a trattamenti particolari, per eliminare eventuali malattie, come appunto la talassemia, prima di essere reinfuse nel malato. Nei giorni successivi al trapianto, la persona viene tenuta sotto osservazione in una camera sterile (le sue difese sono molto basse).
Il prelievo da cordone
Alcune malattie del sangue possono essere trattate in modo efficace anche con il trapianto di cellule staminali prelevate dal cordone ombelicale. Queste cellule, infatti, al pari dei quelle del midollo, sono in grado di trasformarsi nelle cellule sanguigne.
In questo caso sono ammesse maggiori differenze genetiche fra ricevente e donatore. Le cellule staminali cordonali, rispetto a quelle ottenute da midollo o da sangue periferico, infatti, hanno una maggiore capacità di attecchire e di essere accettate dell’organismo del ricevente, tanto che si possono utilizzare anche cordoni non completamente identici al profilo genetico del ricevente.
La procedura è molto semplice: il cordone ombelicale viene donato in forma anonima al momento del parto, quindi, viene sottoposto a un trattamento che permette di isolare le cellule staminali, che vengono tipizzate e classificate. Le cellule vengono poi congelate finché diventano necessarie a un ricevente compatibile. Il trapianto viene effettuato sempre mediante un catetere venoso centrale e l’accasamento avviene nel giro di pochi giorni.
La terapia genica
A breve, le persone affette da talassemia potranno essere trattate con la terapia genica: un particolare tipo di cura che permetterà di correggere il difetto genetico, senza ricorrere al trapianto di cellule staminali emopoietiche, ma inserendo un gene normale nell’organismo del soggetto malato.