L’ipertrofia prostatica benigna
L’ipertrofia o iperplasia prostatica benigna (Bph o Ipb) è una condizione che interessa la prostata. Si tratta del suo aumento di volume dovuto all’incremento del numero di cellule, che si verifica soprattutto nella sua parte centrale, che è quella che circonda l’uretra, canale che mette in comunicazione la vescica con il pene.
Di norma, la prostata ha le dimensioni più o meno di una castagna e un peso di circa 20 grammi. Secondo i dati della Società italiana di urologia, va incontro a ingrossamento nel 5-10 per cento degli uomini di 40 anni di età e interessa circa l’80 per cento degli uomini oltre i 70 anni. Il numero di maschi in cui provoca disturbi significativi corrisponde a circa la metà dei colpiti.
I sintomi
In una piccola percentuale di casi è asintomatica, di solito quando il suo peso rimane entro i 40 grammi.
Oltre questo peso è più facile che compaiano i sintomi; ma è possibile che un ingrossamento modesto determini disturbi più importanti di un ingrossamento maggiore. In ogni caso, i segnali possono essere più o meno marcati e non sussistere contemporaneamente. Ecco quali sono:
– difficoltà a dare inizio alla minzione (urinare);
– intermittenza del flusso di urina durante la minzione;
– incompleto svuotamento della vescica (da qui lo stimolo frequente a urinare, che è un altro sintomo tipico);
– getto di urina debole;
– aumento del bisogno di urinare durante la notte (nicturia);
– urgenza di urinare;
– bruciore durante la minzione.
Le cause
L’ipertrofia prostatica è legata all’invecchiamento fisico e, più di preciso, alla diminuzione del testosterone dovuto a una sua minore produzione da parte dei testicoli.
Ci sono alcuni fattori di rischio: l’ereditarietà (l’iperplasia si riscontra spesso tra consanguinei) e l’obesità. Di fatto, a parità di età anagrafica è più facile osservare l’alterazione negli uomini in forte sovrappeso: l’adipe produce, infatti, estrogeni (ormoni femminili) che ostacolano l’attività del testosterone, il quale gioca un ruolo importante per la salute della prostata.
La diagnosi
L’esplorazione rettale (palpazione della prostata attraverso il retto) è un esame che può individuare con precisione l’ ingrossamento della prostata, soprattutto se viene effettuata da uno specialista abile ed esperto.
L’ecografia prostatica esterna o sovrapubica (la sonda viene appoggiata sul pube) e quella transrettale (la sonda viene introdotta nell’intestino retto) sono in genere prescritte sia per avere conferma dell’iperplasia sia per appurare se dell’urina ristagna in vescica dopo la minzione, in quanto è questo un segno che rivela che il problema si sta aggravando. L’ecografia inoltre consente di diagnosticare altre possibili complicazioni, come i diverticoli o i calcoli della vescica.
L’uroflussimetria è l’indagine ritenuta più utile perché rileva se l’ingrossamento ostruisce il flusso dell’urina e quindi permette di stabilire se l’iperplasia deve creare preoccupazione oppure no. Consiste semplicemente nel fare pipì in una tazza speciale che registra il flusso di urina e poi lo riproduce graficamente: è un esame non invasivo che non provoca nessun tipo di fastidio.
Può anche essere prescritto il dosaggio del Psa, l’antigene prostatico specifico. È una sostanza normalmente prodotta nel sangue che, se presente in quantità elevata, potrebbe essere il segno di un carcinoma della prostata. Va sottolineato il condizionale: non è automatico infatti che eventuali valori alterati esprimano la presenza di un problema grave, perché anche la sola ipertrofia prostatica, benigna per sua natura (come appunto dice il nome), può sballarli.
Un innalzamento del Psa è solo un’eventualità che suggerisce di eseguire indagini più approfondite per escludere che si sia sviluppato un tumore.
Nota. Non c’è accordo tra gli specialisti sull’opportunità di sottoporre tutti gli uomini di mezza età al controllo della prostata attraverso l’ispezione per mano dell’urologo o il dosaggio del Psa. L’idea più condivisa è che in assenza di sintomi debbano effettuare questa indagine solo gli uomini di 45-50 anni nella cui famiglia ci siano stati casi di carcinoma della prostata (padre, nonni, fratelli). Dopo i 45 anni devono invece eseguirlo gli uomini in cui compaiono i sintomi urinari descritti.
Le conseguenze
L’ipertrofia prostatica è definita benigna perché, anche se comporta alcuni disagi dovuti alla compressione esercitata sull’uretra, non danneggia i tessuti circostanti; non è cioè caratterizzata dall’infiltrazione di cellule malate (tumorali) nei tessuti sani.
Posto questo, se non viene curata, l’ipertrofia prostatica benigna può peggiorare o, comunque, determinare problemi di una certa gravità.
In primo luogo, l’incompleto svuotamento della vescica che a volte la caratterizza può determinare un accumulo di batteri in vescica, dove l’urina ristagna, aumentando il rischio di infezioni severe come la prostatite.
I ristagni di urina possono causare la formazione di calcoli all’interno della vescica e, più in generale, compromettere la funzionalità e la salute dell’apparato urinario.
L’ipertrofia prostatica benigna non provoca invece deficit dell’erezione, almeno direttamente, perché di fatto chi ne è colpito può cominciare ad avere difficoltà nell’ambito della vita sessuale per ragioni di tipo psicologico.
Le cure
In generale, l’ipertrofia prostatica non richiede cure se non è si presentano sintomi, salvo ovviamente diversa valutazione dell’urologo.
Se invece compaiono disturbi e si pone il rischio di conseguenze importanti per le vie urinarie occorre controllarla con la terapia. Al riguardo ci sono due strade: i farmaci e la chirurgia.
Tra i farmaci, gli alfa-bloccanti (alfa1-recettori adrenergici antagonisti) assicurano un miglioramento dei sintomi. I principi attivi più utilizzati ed efficaci sono: doxazosin, terazosin, alfuzosin e tamsulosin. Va detto però che possono avere come effetto indesiderato l’eiaculazione retrograda, ossia il liquido seminale al momento dell’eiaculazione non viene espulso all’esterno.
Gli inibitori della 5alfa-reduttasi (finasteride e dutasteride) sono un altro farmaco utilizzato. Quando vengono usati in abbinamento agli alfa bloccanti, determinano una significativa drastica riduzione del volume della prostata. In qualche caso possono però avere come effetto indesiderato un deficit dell’erezione.
Esistono inoltre prodotti fitoterapici (erbe e piante) che si sono dimostrati capaci di ridurre i sintomi: Serenoa repens (o saw palmetto), beta-sitosterolo, pygeum. Si ipotizza possano dare risultati anche la Cucurbita pepo, i semi di zucca e l’urtica dioica.
Quando serve l’intervento
Se la cura con le medicine non funziona, cioè i sintomi persistono, può essere necessario ricorrere alla chirurgia.
Qualsiasi intervento chirurgico pone a rischio, in misure differenti, i meccanismi dell’eiaculazione, mentre non vengono compromesse né l’erezione né la possibilità di raggiungere l’orgasmo (se però l’intervento viene eseguito correttamente).
Gli interventi tradizionali sono due: il primo, detto “a cielo aperto” è indicato per prostate notevolmente ingrossate. Consiste nel raggiungere la prostata per asportarne la porzione in eccesso attraverso un’incisione che di solito viene effettuata sopra il pube. Richiede circa quattro giorni di ricovero.
L’altro intervento è la cosiddetta resezione transuretrale che consiste nel raggiungere la prostata mediante un particolare strumento che viene introdotto nell’uretra. Anche in questo caso, il ricovero in ospedale è di qualche giorno.
Esistono alcune nuove metodiche capaci di ridurre il volume della prostata limitando il rischio di compromettere le strutture vicine. Tra queste, l’impiego del laser, che ha un’invasività limitata perché viene effettuato per via transuretrale, cioè passando dall’orifizio esterno del pene. Spetta comunque solo all’urologo stabilire quale tecnica sia più adatta al singolo caso.
Il test di valutazione
In prima battuta, prima ancora di effettuare indagini, la presenza e l’entità dei sintomi che caratterizzano l’iperplasia prostatica possono essere valutate utilizzando un questionario condiviso dall’intera Comunità scientifica occidentale, chiamato International Prostate Symptom Score (Ipss).
Se compilato in modo corretto, cioè rispondendo alle domande con precisione, può dare le prime informazioni certe sulla gravità dell’alterazione. Consiste in 8 quesiti a cui è necessario rispondere con la massima precisione. A ogni singola risposta viene assegnato un punteggio compreso tra 1 e 5. Eccolo.
Le prime sei domande
1. Con quale frequenza ha la sensazione che la vescica, dopo aver urinato, non sia del tutto svuotata?
2. Con quale frequenza urina due volte in meno di due ore?
3. Con quale frequenza osserva che il suo flusso di urina si interrompe e poi ricomincia?
4. Con quale frequenza ha difficoltà a ritardare la minzione?
5. Con quale frequenza nota un getto debole?
6. Con quale frequenza fa uno sforzo per iniziare a urinare?
Le risposte per le prime sei domande:
Mai = 0 punti
Meno di un caso su 5 = 1 punto
Meno che nella metà dei casi = 2 punti
Circa nella metà dei casi = 3 punti
In più della metà dei casi = 4 punti
Quasi sempre = 5 punti
Le ultime 2 domande:
7. Con quale frequenza media si alza di notte per urinare?
Risposte:
Mai = 0 punti
Una volta = 1 punto
Due volte = 2 punti
Tre volte = 3 punti
Quattro volte = 4 punti
Cinque volte = 5 punti
8. Come si sentirebbe se i sintomi che avverte adesso durante la minzione non dovessero più scomparire?
Risposte:
Molto bene = 0 punti
Bene = 1 punto
Abbastanza bene = 2 punti
Né bene né male = 3 punti
Male = 4 punti
Molto male = 5 punti
Risultati
Un punteggio complessivo compreso tra 0 e 7 punti indica un’ipertrofia prostatica molto lieve. Un punteggio da 8 a 19 suggerisce la necessità di intervenire. Un punteggio superiore a 20 è segno di un’iperplasia prostatica severa.